lunedì 31 ottobre 2011

LA FOLLIA DEL CORPO




Parli di corpo. Ma quale corpo?  Tanto tempo fa non avevi questo corpo, tu,  ma quello candido, rannicchiato,  quello caldo e disarmato. Non lo ricordi? Quel corpo racchiuso in un vagito di forza e vita?   Quel corpo  non c'è più ora. E quello di ieri?  Il corpo di ieri era altro ancora . Ma non il tuo. 
Perchè tu non hai corpo.
L'ho sempre saputo. Ora ci stai. Nel corpo, intendo.  Quieto. Confuso. Assonnato. Ascolti il freddo e ci cammini dentro stringendoti al giubbotto. 
Senza alcuna mia responsabilità hai attraversato percorsi che mi hanno condotto  in  vicoli ciechi . Pieni di ostacoli.. Seguivi il desiderio ben sapendo che  per poterlo raggiungere  era necessario che ti sfuggisse ad ogni passo , ma tu no, tu no, sempre dietro. Volevi indovinare l'arcano.  Volevi scovare il segreto della follia del corpo. Della voglia che prende e ti lascia  senza seguire ragione, no, non la ragione comune, non la ragione comprensibile alla mente, Oh mio demone,  ti trascinava un' altra ragione di cui non  conosco  nè l'origine  nè il movente!
L'altra sera me ne stavo nella sala d'attesa del mio dentista. Sapevo che  eri con me  dal battito inquieto del cuore, dal  mio  sguardo trasognato che  viaggiava nella stanza. C'eri. Ma eri assorto e distratto.
Perchè, poi,  ti sei interessato a quell'uomo entrato quasi inavvertitamente nella stanza e senza far alcun rumore? 
Tu l'hai visto. Hai  diretto lo sguardo, l'hai indirizzato senza incertezza. Hai preso il suo di sguardo.  L'hai intercettato con determinazione  guerriera. Era bello.  Per quanto tempo l'hai trattenuto?  M'è sembrata un' eternità. Hai guardato intensamente, intento ad intercettare il minimo respiro, il più piccolo gesto. Alla fine  hai risposto, non so  a quale domanda e la  voce  suonava  armoniosa  come non l'avevo mai sentita. Era la mia voce , ma eri tu che la  generavi.  
 Cosa hai trovato negli occhi e nel corpo od ancora meglio nel demone  dell'altro? 
Non lo voglio sapere. T'ho lasciato fare, ma poco. Quando pensavi d'avere, come al solito, vinto la tua battaglia allora ho tirato le redini con tutta la forza  della mia volontà stremata  ma decisa a non  farsi  prevalere e t'ho fermato..
 Ho preso il mio corpo e sono uscita. E tu con me, hai abbandonato , senza poterne nulla, l'oscura ed enigmatica ispirazione  che m'aveva rapito. 



giovedì 27 ottobre 2011

DIRIGENTE A CHI?





L’organizzazione degli uffici, l’accessibilità anche in via telematica ai servizi, la programmazione e  progettazione delle attività, l’applicazione delle norme di semplificazione e di digitalizzazione dell’amministrazione, l’esercizio delle funzioni di garanzia e di controllo, dipendono prevalentemente dalla dirigenza e dalle modalità di reclutamento, formazione e nomina della stessa.
Infatti  DOPO Tangentopoli  sorge la necessità di organizzare in modo differente la pubblica amministrazione.

La Legge 241/90, il D.lgs. 29/93, la Legge 59/97, la Legge 445 del 2000  la Legge 80/97, il D.lgs. 286/1999, la Legge 150/2000, il D.lgs. 300/2000, il D.lgs. 165/2001 ( RIFORMA BRUNETTA) , rappresentano l’architettura normativa chiamata a disegnare  i nuovi rapporti con il servizio pubblico istituzionale.
Le disposizioni sopra ricordate sono le componenti più significative, Infatti si è finalmente resa cosa ordinaria  l’accesso del cittadino al procedimento, la customer satisfaction, l’autocertificazione; delegificazione, la semplificazione, lo snellimento dei procedimenti (conferenze di servizio, sportelli unici), l’individuazione, resa nota al cittadino, di un “ responsabile unico del procedimento”, le carte dei servizi, la comunicazione pubblica (URP, uffici stampa, portavoce);

Doveva esserci almeno nelle intenzioni  una chiara  distinzione tra politica (compiti di indirizzo) e amministrazione (compiti di gestione), identificazione degli interfaccia tra i soggetti dell’indirizzo politico e i
soggetti della gestione .

Nel sotto-sistema amministrativo: riduzione dei vincoli normativi per quanto riguarda organizzazione e funzionamento delle amministrazioni, abolizione dei controlli esterni e introduzione di misure di valutazione (controllo strategico, controllo di gestione,valutazione dei dirigenti), nuovi meccanismi di programmazione degli organici, di reclutamento e selezione del personale, identificazione della nuova figura del dirigente pubblico e istituzione del “ruolo unico” rivolto ad assicurare la mobilità dei dirigenti e l’incontro tra domanda e offerta delle professionalità dirigenziali, l’affidamento del pieno governo delle necessarie risorse finanziarie, tecnologiche e umane ai dirigenti  responsabili delle linee operative, il collegamento delle forme di retribuzione accessorie ai risultati raggiunti.
Se all’inizio del percorso delle riforme amministrative la direzione era quella della riduzione dei costi, a causa della gravissima crisi finanziaria registrata dal nostro Paese negli anni 90, ma in seguito  emersero subito obiettivi più ambiziosi:

“rilancio della primarietà del servizio rispetto alle problematiche dell’amministrazione interna; passaggio dall’amministrazione giorno per giorno a logiche di programmazione delle priorità, degli obiettivi, dei livelli di servizio; attenzione ai risultati e alle performances e non solo alle procedure; forte orientamento dell’attività verso i bisogni e le attese degli utenti”
L’idea dell’innovazione è penetrata, ma senza progetti chiari; si è, però, attenuato il senso del servizio pubblico; la mobilità c’è, ma solo sotto la spinta di esigenze personali; le retribuzioni  dei dirigenti rispetto a quelle di tutti gli altri dipendenti pubblici che pur lavorano  allo stesso ritmo sono   lievitate di anno in anno sino ad allargare la forbice di 3 punti a 1.  ( €1.000,00  -  € 3.000,00)
La dirigenza rimane la figura centrale nel modello di governance del settore pubblico: almeno dal  punto di vista normativo.
Le dinamiche a cui assistiamo ci mostrano una dirigenza attenta ormai esclusivamente ai “sentimenti” della politica, più che ai principi di imparzialità e buon andamento, fragile e qualvolta isolata.   Insomma una  figura assente che  si manifesta ormai come longa manus del vertice politico e come tale chiamata a rispondere delle risorse utilizzate in termini di consenso e non di efficienza ed efficacia, rendendo l’amministrazione permeabile a pressioni ed esigenze particolari. ( insomma ci si chiede se  sia sufficiente A QUESTO PUNTO  la presenza del solo amminstratore politico  che si rapporti direttamente con il dipendente , almeno si risparmierebbe una   bella cifretta)
La presenza di professionalità adeguate e qualificate rischia di rimanere circoscritta ed emarginata da un insieme di regole, comportamenti, politiche che pongono su un secondo piano la buona amministrazione e l’efficacia della spesa a favore di logiche formali, corporative e di basso consenso che contribuiscono quotidianamente ad accelerare il processo di crisi del settore pubblico.

La contrattualizzazione del rapporto del lavoro del 1993 e la privatizzazione della dirigenza miravano a valorizzare la funzione gestionale nel rispetto dei principi di efficienza ed efficacia, distinguendola dal processo di programmazione,indirizzo e controllo. Ma nei fatti è stata solo un impegno di spesa che grava nella pubblica amministrazione non poco.


La dirigenza tradizionale,  non è certamente in grado di interpretare questo nuovo ruolo, riproponendo un modello burocratico di gestione e preferendo, di fatto, una valutazione “politica” alla valutazione sulle competenze e sugli obiettivi.

I tentativi normativi di riforma prodotti da oltre 30 anni hanno mirato ad una“managerializzazione” della figura dirigenziale  tale da farlo divenire un "operatore di azienda  che tira la carretta dove vuole il titolare" anzichè una figura di tutela del servizio pubblico. 
Una competenza ed una preparazione idonea potrebbe compensare questa situazione di impasse in cui è caduta la pubblica amministrazione. Ma quando il Dirigente è incapace? ( e ce ne sono tanti poichè non spesso sono assunti senza alcun tipo di prova selettiva)

 Come possiamo avere Dirigenti capaci?

La qualità della dirigenza, relativamente alla professionalità, all’autorevolezza e all’etica che ne  caratterizza l’azione, dipende fortemente dalle modalità di selezione e dalle regole che governano la carriera e il conferimento degli incarichi.

A monte vi è, però, un problema di disegno e di individuazione delle posizioni dirigenziali negli ultimi anni create non in un’ottica funzionale ma per assicurare strutture a uomini di fiducia, al personale soggetto a revoca dell’incarico o a nuovi ministri o assessori. Il proliferare di tali strutture coniugato con un sistema di nomina poco selettivo ha compromesso ulteriormente l’autorevolezza e l’indipendenza di tale figura, soprattutto, come vedremo, rispetto alla gestione del personale.

La normativa oggi prevista prevede delle procedure concorsuali pubbliche a cui possono accedere i funzionari, spesso dello stesso Ente, e una procedura speciale di corso concorso riservata i migliori laureati adottata di rado. ( laurea specialistica ecc:)

Nella realtà i concorsi pubblici sono stati sempre meno frequenti e si è preferito attivare percorsi speciali, come le nomine a termine e i concorsi riservati a determinate categorie.
Un altro modo per controllare la dirigenza già nella fase del reclutamento e di “condizionarla” dal momento dell’instaurazione del rapporto è quello di procedere all’assunzione attraverso concorsi riservati, previsti da specifiche norme legislative o regolamentari. Si tende, in tal modo, a sottrarre alla concorrenza del concorso pubblico i “propri” dirigenti e funzionari, dando così un’immagine fortemente negativa della funzione e del sistema di governo della dirigenza.

Ma soprattutto il divario che si è creato tra le figure dirigenziali e l'intero apparato amministrativo che lo affianca   risulta essere ingiustificato, dato il ruolo che ormai, di fatto , la dirigenza sta assumendo.
Non pare, però che vi siano in previsioni riforme per  riconoscere  tale  discrepanza.
Insomma:  coraggio, il meglio è passato.

lunedì 24 ottobre 2011

NOBLESSE OBLIGE



Eccomi qui insieme alla mia  nuova collega e alla presentatrice della  nostra manifestazione. ho voluto postare queste immagini  per rendere omaggio a due persone adorabili e per ricordarmi come non tutti i colleghi sono sfaccendati  e senza iniziative e non tutti i giovani sono  leggeri e inconcludenti.  La collega che ha un nome a dir poco fantastico ( Antonella) è una lavoratrice  come ne ho viste poche . Si occupa di  tantissime pratiche tutte insieme e cerca di compensare il vuoto d'organico, caratteristico dei servizi pubblici, con una dedizione ed un impegno veramnte fuori dall'ordinario. Non solo: non fa a spallate per emergere e non  ostenta meriti e posizioni, malgrado da sola porti avanti  compiti delicati ed impegnativi.
E che dire di Valeria, la nostra dolcissima presentatrice? Cerca di adattarsi alle situazioni senza quel piglio arrogante e saccente di tanti giovani in erba, ascolta e impara in fretta. Insomma , i perdaballe che sappiamo  sono stralciati da cotanta onestà intellettuale  e capacità di lavorare che quasi non mi ricordo di loro. Anche se , immagino che  il  "nostrosolitoamico",   durante la manifestazione, fremeva battendo il piedino  nervoso sopra le nostre nobili  teste.. tac tac      ( nobili per la materia grigia che le impreziosisce così pazzescamente)

domenica 23 ottobre 2011

AMORE BELLO COME IL MARE MA NON LO SO DIRE


Se guardo agli incontri  che ho avuto sinora, mi sembra d'avere sempre saputo cosa volevo.  Io cercavo  di fare in modo che il mio demone mi si svelasse in tutta la  forza impetuosa che lo ha sempre caratterizzato. 
Il demone, infatti,  rimane  per mesi in letargo nella sua grotta inospitale e oscura. 
Pare morto. 

Invece riprende vigore appena s'avvede della presenza  vivida di chi non è solamente un altro, ma  QUELLO   che mi permette di attraversare il mondo nella sua ritrovata trasparenza , nella mia nuova comprensione di essa. 
La gente di solito non è nulla per me. Non divido che lo spazio della terra  e anzi,  di solito la gente mi impedisce lo sguardo e mi invade l'orizzonte. 
In questi anni ho trovato alla fine l'altro, in tanti momenti e l'ho chiamato tutte le volte " amore" .  
Eppure non era lui l'amore.
L'amore era in me , solo in me  nasceva e solo in me  sorgeva il demone fantasioso e crudele che poteva  muovere  i passi  in una nuova prospettiva .
Era nuova  perchè intanto gli anni passavano e mi trovavo cresciuta e   diversa.
Non ero che io l'amore  attraverso il quale  potevo vedere , scoprire ed ascoltare il respiro della mia anima che esplodeva , ma per me solo per me, per darmi l'opportunità di nascere di nuovo ,di unirmi ancora al mio demone selvaggio. 
Per questo credo che l'amore sia un volo misterioso. Un volo che si spicca da soli , ma  che, senza la spinta di un altro , senza una rampa di lancio  ben piantata nel mondo,  sarebbe impossibile .  
E dunque  chiamerò " amore" tutto ciò che d'improvviso, mi permetterà di partecipare appassionatamente alla vita. 
Perchè, alla fine,  "esserci appassionatamente"  è l'unico modo per esistere davvero.

lunedì 17 ottobre 2011

TO', LA VIOLENZA ! LA SOPRAFFAZIONE ! E CHI SE L'ASPETTAVA?



Oh, io non mi meraviglio affatto delle violenze e delle ingiustizie, in genere.
Tutti i giorni, pago in prima persona i tentativi di sopraffazione di persone incompetenti.  Parlo di quelli che non sanno lavorare , ma che, invece di  restarsene bravi bravi a far lavorare gli altri, si mettono anche a dare direttive su questa e quell'altra cosa come fossero delle persone che se ne intendono invece  una minchia di niente che se ne intendono!
Una mattina questi esseri inadeguati alla professione per cui sono retribuiti,  si svegliano ( qui qualcuno si aspetterà un " bella ciao"  )  ed , in virtù di un titolo guadagnato  chissà come e quando, cominciano a vesseggiare quelle persone di buona volontà che hanno ancora in senso dello Stato e del Servizio pubblico.
Trovate molta differenza tra questi incapaci e d incompetenti dei piani alti e  quelli che hanno sfasciato le macchine dei poveri cittadini? Io no, scusate. 
Le sopraffazioni, o meglio  le violenze hanno molte facce e tutte ugualmente disastrose e deleterie per la comunità.   si comincia  a subirle nei luoghi pubblici, quelli silenziosi ed ovattati da i tappeti  e dal profumo di lavanda , fino a vederle  scatenarsi con spranghe e cappucci su una strada di città. 
Le angherie, le vessazioni hanno lo stesso movente, la stessa personalità confusa e meschina  sia che operi su una poltrona vellutata sia che decida di  esprimersi  sotto una benda nera e casco di protezione. 
Allora dobbiamo  veramente smetterla di meravigliarci della violenza che si attua davanti ai nostri occhi. E dire : " Oh tò, non me l'aspettavo proprio!!!"
Dobbiamo smetterla di visitarla  e fotografarla come  fossimo turisti giapponesi, ma  dobbiamo puntarle il dito addosso,  chiamarla col suo  vero nome, non bisogna mai ignorarla e sottovalutarla.  E' necessario, invece  denunciarla. Perchè la violenza , dapprima si mescola tra la folla per non farsi notare. Azzarda persino sorrisi e toni garbati. Ma poi, quando si accorge d'avere spazio e  forza necessaria,  quando s'avvede che hai abbassato la guardia,  che su qualche ingiustizia sei disposto a chiudere un occhio,  all'improvviso getta la maschera. E  se cominciamo ad accettare la violenza, quella sottile, sotterranea, ma anche spudorata, arrogante quella nei  posti di lavoro, nelle fabbriche,  negli ospedali poi non dobbiamo lamentarci se la troviamo anche nelle strade anche se  con altre voci ed altre caratteristiche.
Per questo dobbiamo vigilare  che la violenza non si propaghi  nel luogo  in cui  lavoriamo e persino nel luogo che più  amiamo perchè sarà proprio in quel luogo che la prevaricazione  potrebbe schizzare  il suo veleno mortale, che ci  potrebbe attaccare senza tregua  fino a lasciarci esausti e sconfitti. Non ci credete? Se lasciamo spazio alla violenza perchè è ancora  sopportabile,  ancora leggera  diamo ad essa la possibilità di lievitare
Succederà sempre perchè sempre è successo. Nelle piazze, negli uffici, nelle scuole, nei bar, e d addirittura  in famiglia.  Mettiamoci in quest'ottica perchè tutto questo  non deve ,  eh,  non deve farci  trovare impreparati.
Cazzo.

venerdì 14 ottobre 2011

COME BERE UN BICCHIERE D'ACQUA.


Anche se il demone non ha corpo, esprime lo stesso un eroticità tangibile che si muove attraverso la sostanza   che lo  ospita come inquietante  pellegrino. 
O meglio ancora: non è  tanto la forza profonda che  si accuccia nel corpo quanto il corpo che si impianta  in questo cosmo di piccole luci pulsanti   e lo  trattiene dentro un involucro conformandolo  come fa il biccchiere con l'acqua  contenuta  nel vetro.
Il demone è così forte che  riesce a rappresentarsi  nel mondo e a farsi vedere ,  malgrado sia invisibile. 
Si fa vedere attraverso la potenza della sua passione, del suo struggimento, della sua inquietudine, ma soprattutto della sua immaginazione. 
Ecco.  In questo senso il desiderio  passionale prima e carnale poi , ha bisogno di una coreografia , ha bisogno di una storia  immaginata, di un miraggio fantastico per venire alla luce.
Infatti  non mi capita mai di provare il desiderio al di là di un contesto culturale. E per culturale intendo ciò che lega l'individuo al tessuto sociale. datemi un  tema, quindi. una trama.
Quale  soggetto affetto dalla sindrome di cenerentola la mia sceneggiatura  ha dei ruoli attinenti  all'argomento.  
Un maschio di potere ha per il mio demone un incanto incontrastabile.
Oh, non  si tratta di soldi o di forza, ma invece di   ruolo  e di collocazione.  Sembra una cosa deplorevole,  sembra una cosa  turpe. Ma non facciamoci ingannare dalle apparenze . il mio demone non si fa corrompere : agisce d'istinto e vive di intuizioni. 
Il mio demone  si ciba dell'istante attraverso il suo impeto viscerale. Lo afferra con i denti aguzzi di lupo selvaggio. Qual è stato il richiamo primordiale? Quale la spinta? S'avventa diabolico sullo spazio che l'ha determinato, sul bicchiere che lo ha composto. Si scioglie , si smembra , si confonde con la terra , nella città e nelle strade. Non è più me , ma nel paesaggio intorno,  e' fuori di me , ma ancora dentro. l'ho perso di vista. 
Non crediate che ciò che nasce in un contesto sociale si sviluppi come elemento imprescindibile dal sistema.
Il demone non si vende, ma si consuma.  Dilapida la sua energia nell'ossessione ma  al termine del pasto s'allontana . E' dentro e fuori. E scompare  senza avvertire.



mercoledì 12 ottobre 2011

IN FONDO SEMPRE PIU' SU SEMPRE PIU' SU



E'  ormai pacifico per me. Ho una forza interiore che è  paradigma dell'essere  visibile che sono. Potrebbe essere definita "guida", ma sarebbe un termine fuorviante. Perchè non mi da indicazioni chiare su come procedere, invece è una spinta che diventa energia che muove la mia immagine nel mondo.

In questi giorni ho avuto delle rappresaglie da parte di chi, non sapendo raccapezzarsi  sul lavoro che dovrebbe svolgere,  ha   intrapreso una serie di operazioni sterili ma determinate contro la mia persona. Devo dire che questa cosa mi ha fatto perdere le staffe. Ecco. Il termine che sembra retorico ha invece un contenuto profondo ed inquietante. 
Come ho scritto, ho ormai realizzato d'avere una energia misteriosa ma vitale  dentro di me che governa la mia coscienza  diventando  ciò che mi significa nel mondo e che mi rappresenta nei gesti e nell'indole. Ho creato, alla fine, una relazione di rispetto e  di pacifica convivenza tra la forza che mi macina dentro e la mente superba e funzionale che sono. Ma  quel giorno in cui, come ho voluto sottolineare , " ho perso le staffe" ,il  contatto s'è improvvisamente interrotto e mi sono sfilacciata, dispersa come acqua di sorgente in mille rivoli, frantumata in pezzettini finissimi tanto da divenire sabbia  inerte e muta. Muta di fatto non lo sono stata troppo  perchè parlavo vivacemente , ma non ascoltavo il profondo me strappato alla contemplazione della mia anima immacolata. 
Sono stata staccata, divisa , frammentata ed allontanata da me ,  quindi per questo  incontrollabile e perduta .  Vedendomi così mi sono allarmata. Mi sono fermata. Ho cercato la voce smarrita. Non la sentivo , schiacciata com'era  da azioni che non mi appartenevano ma che facevano da padroni nel mio presente .
Non trovavo la forza occulta  che era l'etica della mia vita e che mi aveva permesso di progredire. 
Per tutto il giorno  di ieri è stato così.  Ma oggi pomeriggio camminando in silenzio col mio caro amico, mentre lui chiacchierava della mostra del fumetto che a breve avrebbe visitato, allora il suono delle sue parole divenne all'improvviso  l'eco della mia voce interiore che sorgeva gorgogliando dal fondo  per salire su sempre più su fino a deflagrare nel mio petto per ricongiungersi alla fine con l'altra parte di se' e  permettermi , così, di ritornare in vita  tutta intera.

martedì 11 ottobre 2011

DOVE SI DIRIGE CHI NON SA DIRIGERE? LA STORIA CONTINUA...

......Ma non solo il Generale  mandò quella missiva sconcertante all'indirizzo  del soldato che dovette governare il disatro. Ma per...,  come si dice in gergo militare, pararsi il culo, ne inviò una successiva in cui si lamentava del tono  del soldato semplice, che non andava bene che  avrebbe dovuto rendere conto di ciò e così di seguito. Sembra una storia di fantascienza. Non crediate: è così che si muove, anzi, che non si muove colui che ha compiti direttivi e  non sa fare: si barcamena giorno per giorno con temi sempre campati in aria, con problemi creati ad hoc.
Perchè lo fa? Perchè non ha nulla da fare. Chi è incompetente non si avvede delle questioni che ci sono da risolvere. e passa il tempo un po' inquietamente cercando di trovare qualcosa che gli faccia trascorrere la mattinata, qualcosa da leggere e su cui disquisire.
Nei campi di concentramento spesso seviziare  i detenuti diventava un'attività vera e propria  per occupare il tempo.
Ora,  per certi responsabili trovare qualcuno con cui sfogare le proprie frustrazioni di persona  accantonata in un angolo senza alcuna vera mansione direttiva da svolgere è   l'unico toccasana che rimane. Accanirsi contro   qualcuno.
Che fare? Ma resistere, resistere, resistere .
Il tempo mi ha dato sempre ragione, in questo senso.  PERO'  CHE PALLE EH!

domenica 9 ottobre 2011

L'APPUNTAMENTO


La prima volta che l'ho visto  stava attraversando il corso principale della città. 
Era un bel po' di anni fa, forse venti.
Io, che transitavo dalla parte opposta del marciapiede, ricordo che mi ero voltata per seguire, con lo sguardo, la bella  figura che s'allontanava.
Avevo chiesto a chi mi accompagnava chi mai fosse stato quel giovane magro e barbuto che aveva attirato la mia attenzione. Mi raccontarono di lui e , tutto ciò che seppi,  fu  soprattutto  in quell'occasione.
Da allora le nostre strade si incrociarono parecchie volte, ma definite in ruoli talmente rigidi da scoraggiare tentativi di seduzione esplicite da parte mia che un poco spasimavo per lui. 
La mia vita è sempre stata una sperimentazione  ricorrente: una strada dopo l'altra , un confine dopo l'altro , una luce all'orizzonte da raggiungere.
Ho una specie di ossessione tenace che  mi  fa sperare in  un segreto svelato in fondo all'esistenza che pulsa e si rinnova ogni istante.
Cosa eravamo quel tempo? Soprattutto giovanissimi. Mi pare d'avere ancora la stessa inquietudine, ma è solo l'inganno dello spirito che rinnova le sue illusioni. Perchè noi siamo altro. 
Lui, incontrandolo recentemente, mi si offre quale riscatto di un desiderio giovanile che  costruisco a fatica. 
Ero io , certamente,  ma  dove mi ha portato la ricerca silenziosa di questa esistenza ? In che modo ho delineato la mia umanità allora inerte ed indifesa ed ora  rinnovata nella corsa e nella speranza? ma ancora di più come accomunare la conquista delle rivelazioni della mia nuova anima in relazione al rapporto tangibile ed indiscutibile col mondo esterno  che c'era e c'è ancora   e che ha raccolto  nella corsa anche  il viaggio solitario e profondo dei  miei passi stranieri?
Ero io , era lui , come lo ricordavo , ma il silenzio che ci aveva seguito da allora aveva un corpo nuovo, una storia vagheggiata e compiuta.
Per lui avevo una tenerezza di genitore stanco. Per lui avevo  quel silenzio familiare  che nasconde le  risposte  gravi. Per lui avrei avuto sempre  quella vicinanza fraterna che addolcisce i patimenti condivisi.
Per lui avrei avuto quell'amore profondo che ci lega  all'idea della vita una volta smarrita.
Lui mi ha chiesto un appuntamento e io non ho fatto fatica ad accettarlo.
Eppure, allontanandomi impacciata e silenziosa ,  sapevo che quell'appuntamento, ormai, entrambi lo avevamo mancato.


venerdì 7 ottobre 2011

LA DOLCE VITA DEI RESPONSABILI





Immaginate un po'. So che lo potete fare , che siete fantasiosi, voi, miei adorabili lettori!  E poi non è difficile: la situazione per noi italiani è molto critica non sarà poi così complicato   pensarci  presenti al dì del grande attacco di Pearl Harbour. 

Cominciamo a individuare le condizioni storiche.

Il soldato semplice  Zaccaria è di stanza alla base navale statunitense. Ecco che  riesce a scorgere  in lontananza un'aereo e poi  di lì a poco  spunta dal cielo  minacciosa la divisone aerea giapponese.  Non crede ai suoi occhi. Guarda ancora. Capisce cosa sta per succedere. E' un attacco. 
Allora invia un dispaccio urgente al suo generale che si trova  a diverse miglia dalla base. Vuole indicazioni, direttive, esortazioni. Scrive velocemente.Il testo è asciutto, veemente, ma chiaro e crudo. dettagliato.  Parla di un probabile attacco delle forze giapponesi: un attacco a sorpresa, repentino,  probabilmente catastrofico. descrive la presenza di corazzate potenti, di incrociatori pesanti che stanno sopraggiungendo a grande velocità. Alla fine invia il comunicato ed attende ordini.
La scena cambia .  Ora immaginate tutto un altro clima.
Siamo nella tranquilla residenza del Generale. Zaibrisk . La villetta è circondata da un parco lussureggiante. gli uccellini cinquettano soavemente. La stanza arredata in ciliegio lucido è adornata di dipinti e tappeti pregiati. Dov'è il Generale?
Eccolo qui. Seduto alla grande scrivania sgombra da  quelle inutili scartoffie che troviamo  sempre nelle scrivanie dei sottoposti. E' tanto pulita  da scorgere le lieve venature del legno con il suo colore marrone  chiaro e scuro di  tronco millenario . Il generale legge. E inaspettatamente sorride a denti stretti. Con una calma placida e indolente prende penna e calamaio e scrive:
" Caro Soldato semplice Zaccaria non riconosco lo stile della tua scrittura. Eh Eh .. non è il tuo solito cordiale e gioviale tono . Da chi ti fai scrivere le lettere? Chi le ha pensate? Non ti sei mai rivolto a me, che sono l'illustrissimo e eccellente Generale con un tono che , mi consenti, esprime una vivacità che non ti riconosco e con questo ho TERMINATO. NON AMO PERDERMI IN CIANCE. "
Come è andata a finire LA QUESTIONE  lo sapete già.

mercoledì 5 ottobre 2011

LO STILE GIUSTIFICA I MEZZI




EH sì... in questo grave periodo storico tutti quanti siamo chiamati ad un impegno maggiore ed una maggiore responsabilità.  per questo ci si aspetterebbe che ognuno, a seconda del ruolo che copre , cercasse di dare il meglio di se'.
Le grandi figure professionali che faranno mai in questi momenti? Massì quelli retribuiti  in modo eccellente perchè spingano con efficacia la grande macchina pubblica?
Diamine che domande!
Sicuramente immaginate di vedere gli  alti  funzionari  dissertare su quella grave questione  da risolvere, sulle soluzioni da individuare,  sulla gestione di conflitto, sulla coordinazione  del personale? Macchè. cavolo. Troppo facile. Invece qualcuno  fa ben altro . Fa lo scienziato , lo studioso  dell'animo umano.  Troppo semplice accogliere la richiesta di consulenza e di coordinamento dei  collaboratori!  Non è abbastanza trEndy  se pur funzionale e risolutivo. e poi per far quello ci vuole competenza, preparazione, impegno , profusione !   Tutte cose mai conosciute in tanti anni perchè cominciare ora ?
C'è chi  ha deciso perciò di prendere le cose un po' alla larga.
Ossia  si diletta  a studiare la personalità del dipendente sullo stile della  scrittura.  Che cavolo.  Ecco la procedura:
Prende il testo scritto  da un dipendente e, come prima regola non si occupa affatto della  firma in calce al foglio o delle ragioni della missiva.   Ci mancherebbe altro! Se no che analisi  creativa sarebbe? Invece   si  sofferma esclusivamente sulle ipotesi  di identità o meglio di paternità del documento. Così tutto diventa più fico. Vuoi mettere?  Altro che affrontare le vere questioni !Tsè...
Lo stile è raffinato, un po' ficcante? allora và , magari l'ha scritto  la signorina Rossi. Oppure è uno scritto goliardico, cameratesco, gioviale ? Checazzo ! Questo è   il Ragionier Sandri! e così via . Il contenuto del testo  diventa un fatto secondario agli occhi di questi  aspiranti studiosi di anima e il tapino che ha scritto e pensato per avere invece  consigli  sul tema esposto  ecco che   si ritrova nel lettino di Freud  e senza nemmeno un trasfert. O l'indennità di rischio,  che magari ci vorrebbe proprio. E dire che sono consulenze di un certo spessore. ma non vi dico quanto.

Và, non ci credete? Carta canta, purtroppo!
Ed il Ministro Brunetta s'è mai chiesto come fanno i  famosi fannulloni a prosperare? Ma ovvio: perchè affiancati da una classe dirigente altrettanto sagace e laboriosa no? 

lunedì 3 ottobre 2011

LA MORTE NON E' NIENTE


E' qui. Incombente e  quasi padrona dello spazio che occupo.

 In questi giorni ho camminato , o meglio ho smaniato nei corridoi e nelle strade  della città sempre accompagnata  dal pensiero di lei, ma più che un pensiero era un peso fatto di carne ed ossa che mi apparteneva  tanto che ero io, alla fine, che  significavo IL TEMPO finito,  ero io che  pesavo sull'esistenza come un miraggio mai nato.
Ho smesso di protestare  per le cose che non andavano. Chi ero io per  permettermi di  adeguare il flusso disordinato degli eventi  e   porli al centro di una vita transitoria e quindi dubbia e avventata?
Ho camminato a lungo, dunque,  ma la strada non portava da nessuna parte. Tornavo indietro , alla fine,   perduta nell'equivoco e sopraffatta dall'ansia di avere consumato un sentiero senza destinazione.
Con l'auto , poi, pareva ancora più semplice esaurire   il tempo che scandiva l'asfalto sotto le ruote.  Andavo, andavo portandomi dietro senza rimedio la condanna cucita addosso.
Ed intorno a me il calore generoso della rinnovata estate struggente e miracolosa s'appoggiava sul cofano dell'auto in corsa per rallentare e soccorrermi ed io invece, no, no, non volevo , perchè dovevo capire la fine maligna  di un VIAGGIO   ingenuo e perverso , infine, perchè pieno di illusioni e disperazioni.
Tornando.... 
tornando da quelle divagazioni dolorose ritrovavo i luoghi familiari ed allora realizzavo istintivamente  che sarebbe stato lì, nell'abbraccio inerte ma armonioso  del mondo, che avrei dovuto accogliere quell'avventura definitiva.