giovedì 20 marzo 2008


Il ragazzo degli uccelli di carta.

Un ultimo dell’ anno atroce: andavamo ad una festa insieme. Sembravamo una coppia ma non lo eravamo veramente. Eravamo ancora insieme, ma tristi, spezzati, lontani. Si continuava a stare insieme, però.
Non ci volevamo pensare. Eravamo nella casa di campagna di un amico. A Refrancore.
Ricordo che c’era gente in ogni stanza . tantissime persone, che si facevano per lo più gli affari loro. Tu ti allontanasti per primo da me. Io non volevo. Stare in tua compagnia mi faceva stare male ma , stranamente, non volevo separarmi da te neppure un momento. Forse perché la separazione non poteva che mettere in evidenza la distanza che c’era oramai tra di noi.

Camminavo di stanza in stanza da sola. Le persone non mi vedevano. Ma neppure io vedevo loro presa com'ero dalla disperazione di questo amore finito. Spesso i miei lunghi amori finiscono in fretta.
Muoiono in pochi istanti. Me li trovo tra le braccia in polvere. Scivolano via dalle dita, non riesco a trattenerli.

In fondo alla stanza più grande c’era questo ragazzo alto e magro che era chino sulla sua strana attività: costruiva uccelli di carta. Tanti piccoli uccelli di carta.

Sembrava che questa attività lo rilassasse molto. Era lì in mezzo agli schiamazzi, alle gambe furtive, alle voci continue, impassibile. Era lì che piegava dei fogli di carta e faceva nascere delle forme precise, degli uccelli con becco ed ali chiuse.

Diventai anch’io spettatrice di questo ingegno. mi sedetti accanto a lui a dire: “ che bello , che bello.” Mentre avrei voluto morire.

Lui mi vide e cominciò a lavorare per me. " Vuoi un uccello grande?" " Come vuoi il becco?" "Le ali aperte o chiuse?" Ed io a spiegare come volevo questo pezzo di carta anonimo, e farlo diventare qualcosa, qualcosa che potessi volere davvero, non come questa festa che non mi piaceva, non come quest’amore che non c’era, ma qualcosa di reale come un uccello di carta. Con il becco e le ali . Lui era dolce ed affettuoso con me. A mezzanotte, quando tutti si davano baci ed abbracci, lui mi diede il suo numero di telefono. Non l'ho mai chiamato. Ma conservo i suoi uccelli.

lunedì 17 marzo 2008

L'uomo vestito di Viola


Dovevo portare il pacchetto. Avevo suonato al citofono accanto al

grande portone nel cortile della fabbrica.

Lì non c’ero mai andata. Era un antico palazzo ristrutturato. Aveva conservato lo scalone di pietra, il cortile interno con le piccole aiuole ed il selciato di ghiaia ed erba. Salivo le scale e nelle pareti si intravedevano affreschi scoloriti di scene epiche.

In cima alla scala invece il palazzo assumeva un aspetto totalmente diverso. Le mura erano lucide ed al centro del piano c'era una grande porta vetro blindata, modernissima. Una telecamera sibilava sull’angolo.

Suonavo ancora. Ancora ripetevo il nome. Il vetro cominciò a scorrere da una parte.

Entravo in uno spazio stretto dove trovavo ancora una porta di vetro. Ancora chiusa. Dietro di me l’altra si chiudeva.


Ero prigioniera, bloccata in uno spazio angusto e straniero. Non una voce né un rumore se non il sibilo di un' altra telecamera sopra la mia testa. Mi guardavo attorno: mi era venuta l' idea inquietante d’essere stata catturata o di essere stata dimenticata lì in quel quadrato senza finestre e senza aria. Attendevo... La porta di fronte alla fine si apriva. Uscivo velocemente come liberata. Mi attendeva una stanza molto grande, con un bancone di fianco ed una vecchia impiegata.

Di nuovo pronunciavo il nome alla signora mentre porgevo il pacchetto.. Lei lo apriva, lo consegnava ad un secondo dipendente,mi parlava. In quel momento suonò il telefono. La signora rispondeva: “ sì, sì ,va bene, va bene “ Mi guardava dietro i suoi occhialini cattivi. Quindi dice: "Il titolare l’aspetta da quella parte." indicando un' ulteriore porta . Questa volta la porta era di legno massiccio e scuro. Ma chiusa, inevitabilmente chiusa. Mentre mi chiedevo dove e se avessi dovuto suonare ecco che con colpo secco di serratura metallica la porta si apriva.

Entravo. Ma trovavo un ulteriore porta. Ancora una porta di legno scuro lucido . Una porta bellissima. Dietro di me l’altra ancora si chiudeva. Di nuovo rivivevo il momento di clausura misterioso, solitario, silenzioso. Guardavo la porta chiusa: gli intagli eleganti e la mancanza di infissi non permettevano di distinguerla da una parete di legno o da un mobile. Silenzio. Ancora attesa. Alla fine ecco l’ormai familiare "tac” della serratura che scattava. La porta si apriva. Facevo un passo in avanti per liberarmi. Ero nella stanza:

al centro c’era lui. quello per cui avevo atteso al buio, al chiuso, reclusa e minacciata, anzi io stessa divenuta minaccia, io stessa divenuta insidia. Lui era vestito di viola e questo è stata la cosa che più mi piacque. Quel suo vestito viola lucido così fuori posto in quella stanza di mobili intarsiati classici e soffitti affrescati con serrature ultramoderne e sensibili che scattavano,chiudevano le persone, le prendevano, le facevano aspettare, avere paura. Chiedere, sperare. E alla fine trovare lui quest’uomo in viola a significare che lui poteva essere un'altra cosa dai quei dipinti, da quelle prigioni da quelle imposizioni di porte aperte e chiuse. Di attese e decisioni solo sue. La mia vita era stata nelle sue mani anche se per pochi attimi. Egli era assolutamente voluttuoso, attraente, unico.

L’ho subito voluto. E l’ho guardato con gli occhi di chi lo voleva subito.

L'avevo aspettato tra una porta e l'altra, l'avevo aspettato troppo. Mentre mi parlava notavo anche il resto: ossia che aveva una ventina di anni più di me, che aveva uno sguardo vivido, un profumo piacevolissimo e questo vestito cangiante con i riflessi che dal viola diventavano blu elettrico come la sua camicia di seta brillante, la sua cravatta piccola.

Parlavamo, sentivo il suono della voce, i movimenti del corpo, l'espressione degli occhi scuri. Sentivo. Ci siamo alfine salutati Ci siamo stretti la mano . la sua mano era grande e avvolgente. l'ho lasciato rivivendo il rito delle porte chiuse, ma non con lo stesso animo . Correvo giù per le scale, gli affreschi annebbiati, i ciotoli del cortile, il cuore impaziente. Mi fermavo all'ingresso dopo la corsa. Ero immobile per rallentare le pulsazioni del sangue. Stavo così: ferma, quando sento alle spalle una voce non conosciuta che chiama: " Antonella!"


Mi voltavo : vedevo il vestito viola illuminare il marciapiede nella strada, con i colori dal blu al verde, nero, rosa cangiante.Vedevo i suoi occhi mobilissimi, luccicanti, trionfanti.: era lui senza più porte blindate era lui che aveva compreso.

....Il resto che ne seguì non potè uguagliare quel momento eroico






mercoledì 12 marzo 2008

La ballata dell'amore consumato

Questa è la ballata dell’amore consumato

Ma non consumato nei modi migliori

consumato come si seccano i fiori

che dopo le cure che si fanno


Ti accorgi che il tempo ha combinato il danno


E stare li’ un pochino a guardarlo morire


E vorresti collaborare per farlo finire


Invece ti metti a cantare una canzone

Come se fossi

una star in televisione

E canti, canti senza posa

Che diventi quasi una sposa

La sposa di questo amore consumato

Che non era così quando era nato.




Viaggio in Toscana


Eravamo stati in quei campi con mio padre.
Ero una bimba di 10 anni.



Intorno s’allungavano le colline alte e profonde della Toscana. C’era un senso di spazio infinito. Di respiro. Non ricordo più nulla di quelle gite ma tornare a questi campi mi rincuora. Il dolore si addolcisce. Pare d’essere allora con lo stesso vento leggero sui campi e nell’erba densa delle colline. Tu le amavi molto, papà. Ricordo benissimo: Eri grande e protettivo. Eri felice.
Adesso molte cose sono cambiate. Malgrado l’aria ed il tempo
m’appartengono, la dolcezza dei campi e la perfezione della natura non fa altro che acuire la mia privazione. Sono qua, in questa aria tenue e scivolosa della sera toscana. Sono qui tra i fiori leggeri e profumati di alloro, salvia, rosmarino e terra bagnata e fango. Ho quest’ infanzia negli occhi e nei ricordi. Il suoni di voci ed uccelli che echeggiano , filtrano e rimbombano. Muoiono poi lontano. Ascolto. C’è insieme alle voci un colore nuovo: di tenebra. C’è insieme ai suoni un silenzio oscuro e straniero. Non ho più illusioni papà. Le ho perdute. Tu pure, lo so, tu pure. Non hai più vita. Non più dimensioni. Ti chiamo. Per quanto tempo ancora ti chiamerò ? per quanto tempo ancora cercherò di sapere? Per quanto tempo perderò il senso e morirò con te mille volte?
La consapevolezza di essermi perduta diventerà il sentiero che mi presto a compiere.
Ma è inutile questo dolore. Appena lo percepisco già lo sento vano. Inutile il dolore ed inutili sono le domande. Non c’è nulla che possa fare. Rimane solo questo campo intorno . La leggerezza di questa giornata lucente. Rimane il sole radioso della Toscana e questo profumo che ha accompagnato la mia infanzia. Mi appartiene. Ce l’ho nel sangue come linfa purificatrice. Sono stata in questo campo da sempre. Non ho partorito una bimba crudele Sono sempre stata nel campo a raccogliere le margherite appena nate.. intorno le pecore magre appena tosate. Tu avevi la mia età di adesso. Avevi i tuoi progetti luminosi. Io ero candida. Piuma leggera . Scivolavo sui campi. Allargavo le braccia all’orizzonte infinito. Non c’erano ostacoli. Intorno solo il cielo profumato e sereno. Dall’alto della collina raggiungevo le nuvole
Oramai non mi va più di parlare. Non è servito cercare di spiegarmi , di giustificarmi, di chiarire. Non è servito adulare, compiacersi, sedurre. Non ho convinto nessuno. Il territorio si è posto davanti ad ogni evoluzione.. Nulla si è modificato. Immobile paesaggio vasto ed intoccabile. Rimarrà fermo e sorgente di vita oltre la mia vita. La terra era fatta di zolle giovani e morbide allora. E’ rimasta inviolata. Ancora lontano ritrovo gli ulivi aspri e opachi, ritrovo le querce robuste ed incontaminate. Ritrovo lo stesso silenzio. Il vento solleva i capelli e le vesti. Si allontana. E’ tutto così irrimediabilmente bello. E’ svincolato da me, non si occupa del mio smarrimento. Mi lascia un passo indietro, consumata dal mio tempo e dagli abbandoni.

martedì 11 marzo 2008

La Ballata del Lavoratore

LA BALLATA DEL LAVORATORE


TUTTI GIORNI E A TUTTE L’ORE
VO ' CERCANDO L’ ASSESSORE
MOLTO SPESSO NON COMPRENDO
MAI PERO’ IO ME LA PRENDO
NON MI PAGANO ABBASTANZA
PER DEI VERI MAL DI PANZA !
TUTTI INTORNO PUOI NOTARE
GENTE CHE NON SA PENSARE
CON IL TEMPO ORMAI HO IMPARATO
CHE NON PUOI CAMBIARE IL FATO
E ASPETTARE LE ELEZIONI
POI DIVENTA DA COGLIONI:
CHI SI ACCOMODA SI SA
L’INTERESSE SUO SI FA
CAMBIA IL GIRO DI PARENTI
SE MODIFICANO I VENTI
PER NOIALTRI DIPENDENTI
TOCCA STRINGER SEMPRE I DENTI !

lunedì 10 marzo 2008

La Ballata Del Desiderio

La Ballata Del Desiderio











Dimmi di sì dimmi di sì. Ma subito.

È quello che voglio

Dimmi di sì dimmi di sì. Non chiedo altro.

Sono molto incazzosa. Sono furiosa.

Tutto ruota intorno a questo sì

Sono troppo deconcentrata. Non riesco a lavorare.

Dimmi di sì.

Non penso che ad averti.

Tu dimmi di sì

È l’unica cosa che voglio. Tu dimmi di sì

Ed io ti dimenticherò

Subito.

È quello che voglio.

lunedì 3 marzo 2008

Le Chiamate al cellulare




Quando il mio amico C. risponde al cellulare ad un numero che non conosce pensa sempre che si tratti di una donna. Imposta la voce :

pronto” Un pronto di gola , un pronto che vuole essere decisamente sensuale . Almeno ci prova,
un pronto alla Clint Eastwood nei “ Ponti di Madison Country” quando telefona a Meryl Streep

Se il mio amico C. riceve una chiamata sconosciuta, crede sempre che dall'altra parte ci sia una donna. Se la immagina bellissima , sola, bisognosa di compagnia.
Magari anche docile, accondiscendente ed un po' gregaria.
Questo la dice dice lunga su quello che sono le nostre aspettative e su come queste interagiscono nella realtà tanto da farle sembrare reali . Vediamo le cose dalla finestra da noi ideata fatta su misura per i nostri bisogni., i nostri desideri e sogni.
CI FACCIAMO UN FILM .
Io lo prendo in giro. Provo a chiamarlo dai cellulari più disparati. E lui sempre “ pronto “ pronto” Tono profondo..... Ci casca ogni volta.
Siamo sempre in attesa. Sempre in attesa di avvenimenti risolutivi.
Ma la vita non propone grandi esclusive.
Peccato no?

sabato 1 marzo 2008