
grande portone nel cortile della fabbrica.
Lì non c’ero mai andata. Era un antico palazzo ristrutturato. Aveva conservato lo scalone di pietra, il cortile interno con le piccole aiuole ed il selciato di ghiaia ed erba. Salivo le scale e nelle pareti si intravedevano affreschi scoloriti di scene epiche.
In cima alla scala invece il palazzo assumeva un aspetto totalmente diverso. Le mura erano lucide ed al centro del piano c'era una grande porta vetro blindata, modernissima. Una telecamera sibilava sull’angolo.
Suonavo ancora. Ancora ripetevo il nome. Il vetro cominciò a scorrere da una parte.
Entravo in uno spazio stretto dove trovavo ancora una porta di vetro. Ancora chiusa. Dietro di me l’altra si chiudeva.
Ero prigioniera, bloccata in uno spazio angusto e straniero. Non una voce né un rumore se non il sibilo di un' altra telecamera sopra la mia testa. Mi guardavo attorno: mi era venuta l' idea inquietante d’essere stata catturata o di essere stata dimenticata lì in quel quadrato senza finestre e senza aria. Attendevo... La porta di fronte alla fine si apriva. Uscivo velocemente come liberata. Mi attendeva una stanza molto grande, con un bancone di fianco ed una vecchia impiegata.
Di nuovo pronunciavo il nome alla signora mentre porgevo il pacchetto.. Lei lo apriva, lo consegnava ad un secondo dipendente,mi parlava. In quel momento suonò il telefono. La signora rispondeva: “ sì, sì ,va bene, va bene “ Mi guardava dietro i suoi occhialini cattivi. Quindi dice: "Il titolare l’aspetta da quella parte." indicando un' ulteriore porta . Questa volta la porta era di legno massiccio e scuro. Ma chiusa, inevitabilmente chiusa. Mentre mi chiedevo dove e se avessi dovuto suonare ecco che con colpo secco di serratura metallica la porta si apriva.
Entravo. Ma trovavo un ulteriore porta. Ancora una porta di legno scuro lucido . Una porta bellissima. Dietro di me l’altra ancora si chiudeva. Di nuovo rivivevo il momento di clausura misterioso, solitario, silenzioso. Guardavo la porta chiusa: gli intagli eleganti e la mancanza di infissi non permettevano di distinguerla da una parete di legno o da un mobile. Silenzio. Ancora attesa. Alla fine ecco l’ormai familiare "tac” della serratura che scattava. La porta si apriva. Facevo un passo in avanti per liberarmi. Ero nella stanza:
al centro c’era lui. quello per cui avevo atteso al buio, al chiuso, reclusa e minacciata, anzi io stessa divenuta minaccia, io stessa divenuta insidia. Lui era vestito di viola e questo è stata la cosa che più mi piacque. Quel suo vestito viola lucido così fuori posto in quella stanza di mobili intarsiati classici e soffitti affrescati con serrature ultramoderne e sensibili che scattavano,chiudevano le persone, le prendevano, le facevano aspettare, avere paura. Chiedere, sperare. E alla fine trovare lui quest’uomo in viola a significare che lui poteva essere un'altra cosa dai quei dipinti, da quelle prigioni da quelle imposizioni di porte aperte e chiuse. Di attese e decisioni solo sue. La mia vita era stata nelle sue mani anche se per pochi attimi. Egli era assolutamente voluttuoso, attraente, unico.
L’ho subito voluto. E l’ho guardato con gli occhi di chi lo voleva subito.
L'avevo aspettato tra una porta e l'altra, l'avevo aspettato troppo. Mentre mi parlava notavo anche il resto: ossia che aveva una ventina di anni più di me, che aveva uno sguardo vivido, un profumo piacevolissimo e questo vestito cangiante con i riflessi che dal viola diventavano blu elettrico come la sua camicia di seta brillante, la sua cravatta piccola.
Parlavamo, sentivo il suono della voce, i movimenti del corpo, l'espressione degli occhi scuri. Sentivo. Ci siamo alfine salutati Ci siamo stretti la mano . la sua mano era grande e avvolgente. l'ho lasciato rivivendo il rito delle porte chiuse, ma non con lo stesso animo . Correvo giù per le scale, gli affreschi annebbiati, i ciotoli del cortile, il cuore impaziente. Mi fermavo all'ingresso dopo la corsa. Ero immobile per rallentare le pulsazioni del sangue. Stavo così: ferma, quando sento alle spalle una voce non conosciuta che chiama: " Antonella!"
Mi voltavo : vedevo il vestito viola illuminare il marciapiede nella strada, con i colori dal blu al verde, nero, rosa cangiante.Vedevo i suoi occhi mobilissimi, luccicanti, trionfanti.: era lui senza più porte blindate era lui che aveva compreso.
....Il resto che ne seguì non potè uguagliare quel momento eroico
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