martedì 9 novembre 2010

IL DIPENDENTE LACCHE'


Come farebbero certe alte cariche, quelle incompetenti e impreparate, senza quel continuo alito di fiato pressante e determinato degli adulatori ? Diciamolo sinceramente: un minimo di atteggiamento complimentoso fa piacere a tutti, anzi, con me usatelo pure, non mi offendo. Ma una cosa sono gli incoraggiamenti, le pacche sulle spalle , la disposizione alla collaborazione e un'altra sono le smancerie gratuite, quelle che cominciano quando arrivi e finiscono quando te ne vai.

Eppure il dipendente lacchè va per la maggiore: piace molto e ha successo.
Il dipendente lacchè, qualsiasi cosa succeda, sta sempre con chi vince. Non è facile riconoscerlo, ma dopo un po' che lavori nella stessa ditta o ente pubblico non fai fatica ad individuarlo.
Questo, di solito, ha un atteggiamento salottiero, si intrattiene spesso nel corridoio e cammina avanti ed indietro come se stesse facendo qualcosa. In realtà è solo appostato, stile avvoltoio, in attesa che giunga il potente di turno. E allora è in quel momento che da sfoggio di tutte le sue arti scandalosamente manierose, gli corre incontro ed è già disposto ad assecondare ogni suo desiderio che sia da portare un bicchier d'acqua o scartargli una caramella alla menta.
Il dipendente lacchè è capace a riverire, ostentare ammirazione incondizionata, a lodare ogni espressione del suo volto, ogni anelito del corpo e persino (ve lo posso garantire perchè ho assistito in prima persona a tale dimostrazione di deferenza) persino a togliergli il cappotto dalle spalle: operazione di se per se' difficile da fare da soli con un ruffiano alle spalle. E' una cosa che il potente di turno non sa mai fare da solo, quando si trova a cospetto di un dipendente lacchè.

Lui , il dipendente lacchè, gli si pone alle spalle e con gesto sfacciatamente disinvolto gli sfila il cappotto e glielo compone con attenzione estrema, con cura scrupolosa nel suo apposito appendiabiti. Poi lo intrattiene con storie fantasiose sulle vicende private di quello o quell'altro dipendente oppure di come lui abbia passato la giornata per finire col chiedergli se ha bisogno di mangiare o bere.
Intanto le ore di lavoro passano, il potente di turno così assediato e così assecondato non ha potuto lavorare, capire, imparare, ma si è sentito molto bene, molto apprezzato, molto amato, riverito, servito, incensato e questo non fa che alimentare la sua sete di ammirazione e devozione. Questo principio di essere si trasforma in una specie di ingranaggio triturante: più sei adulato e più ti senti meritevole di ricevere adulazioni . Più te ne senti meritevole e meno riesci a comprendere i tuoi errori poichè non li vedi , non vuoi vederli, essendo ormai certo d'essere come gli altri vogliono farti credere che tu sia. E' così che da ciò che poteva divenire un ipotetico buon manager si costruiscono demeriti e arroganti decisionisti dell'ultima ora che ti mandano a rotoli ditte di buon nome o enti pubblici virtuosi.
Ma il dipendente lacchè non ama mai chi lusinga: fa tutto questo solo perchè non sa lavorare e si è accorto di come l'essere umano sia così sensibile ai complimenti da riuscire a fare a meno persino di gente che , invece, lavorare sa.Oh cari superiori, diffidate di chi non riesce a farvi una benchè minima critica ! Accogliete chi si confronta con voi e vi rispetta come uomini imperfetti ma capaci di crescere e di superarvi nelle opere e nelle virtù.

lunedì 8 novembre 2010

IL DIPENDENTE INUTILE


C'è un aforisma sul lavoro che mi piace ricordare sempre , è questo:

" Il 50% dei dipendenti pubblici si sentono inutili, il restante 50% lo è ."

Sicuramente nell'ambiente lavorativo si trovano molti personaggi con caratteristiche quasi macchiettistiche . Per esempio si può trovare la figura dell' " l'impiegato inutile." Ma vi sono tante altre figure di cui scriverò diffusamente in altri post.


Nella vostra vita lavorativa, chissà quante volte v'è capitato di incontrare il classico tipo DELL'IMPIEGATO INUTILE.


Ossia il tipo che ti ritrovi chissà come, o meglio, per una serie di circostante fortuite (per lui , un po' meno per gli altri,) a interagire con te senza riuscire a evitarlo, a deviare la tua strada dalla sua, senza poter far finta di vederlo, con cui devi insomma in qualche modo interloquire.


Capita a tutti prima o poi, non c'è scampo. Questo tipo è simile a quello che per anni ha spostato pratiche da un posto ad un altro ed ora che fa qualcosa di diverso, cioè un lavoro da penultimo, lo sorprendi a definirsi un Pi - erre, uno che cura, insomma, le public relations ma non capisce una mazza, non ha competenza di nulla, non ha nuove idee , le vecchie le ha dimenticate, non sa parlare e scrive anche peggio, è disordinato e confuso.

Il brutto è che ne è pure un po' consapevole ed allora cerca di mascherare la sua inefficienza con tutta una serie di operazioni, tra i quali quello di insabbiare i dettagli importanti o di girovagare con gli occhi vagamente scandalizzati per confondere le acque, o ancora di rispondere a monosillabi o non rispondere per niente, tutte cose che pregiudicano alla fine il risultato positivo di un lavoro.

Dice: " io l'ho detto! " come se la gestione del lavoro fosse un " pour parler" in corridoio e che la comunicazione scritta fosse un optional.

E' quello che, per tanti anni , vissuto come in una campana di vetro, protetto dentro un batuffolo rosa di protezioni amiche , quando gli amici se ne vanno , si ritrova davanti alla realtà crudele, maledice il destino elettorale, e si indigna pure di come la vita sia dura e che alla fine bisogna anche lavorare un po'.

E' quello che cerca di ovviare a queste nuove incombenze non con un forte impegno o con una rivoluzionaria dedizione al lavoro, ma con un operazione di sottile e strisciante cortigianeria all'indirizzo del capo di turno.

Dice: " Chi fa sbaglia. " quando gli fai notare una grossa incongruenza, come se fosse un argomento pacificatore. Ma quello che si sbaglia è soprattutto lui che associa l'azione all'errore come fosse un conseguenza biologica INEVITABILE.

Capita , allora, che ti viene voglia di incazzarti, che vorresti dar fuori, ma poi tu, che sei ancora presa da tutte le tue ansie esistenziali , che vivi di dubbi e di guai, tu, che ti chiedi sempre se fai bene a fare come fai, che cerchi di condividere e cerchi di partecipare ai grandi progetti , ti convinci di come sei stata fortunata ad inciampare in una persona così e che per te tutto questo può rivelarsi una terapia d'urto.

Ti dici: " Allora non sono la peggiore in questa terra" e riesci persino a trovare quei suoi modi inutilmente arroganti quasi necessari perchè tu possa apprezzare le piccole gioie della vita ( come una giornata senza la sua presenza)e come alla fine il bene possa emergere in tutta la sua potente energia, in tutto il suo splendente fulgore.

Insomma, bisogna pur dare uno scopo al " bene " per distinguersi. E che lo scopo sia almeno quella di non permettere alla pochezza della vita di prevalere. Se non altro.


E non altro.

sabato 6 novembre 2010

NON OFFRIRMI FIORI, MA REGALAMI UNA POLTRONA


Ebbene è così: non c'è più nessuno che vuol rimanere nell'ombra.
Ormai il motto principale dell'uomo del ventunesimo secolo è " essere visibile , costi quel che costi" e non parlo di "costi" a caso. Ormai tutto si può (e per qualcuno, si deve) comprare. Perchè l'apparire si può ottenere a prezzo dell'essere e tanto più in quei casi in cui l'essere non è poi così corposo, finisce che si riesca, per un briciolo di notorietà , anche a perdere la propria dignità ed il proprio decoro.
C'è chi va in televisione ad esprimere opinioni stereotipate e lontane dalle proprie consuetudini, c'è chi mette su you tube filmati banali di ogni genere, c'è chi va a cene particolari sperando in questo modo di rivoluzionare la propria vita. Perchè si chiama "vita " solo tutto ciò che si mostra, che si ostenta e che si riflette nel mondo, mentre tutto il resto, il proprio percorso emotivo, psicologico, interiore non può essere considerato " vita " poichè invisibile,sotterraneo , non reale, quindi.
C'è oggi un nuovo scenario, un nuovo orizzonte, ma forse non è poi tanto nuovo ma , diciamo , che è diventato più frequente come metodo, per vincere la paura di non esserci nel mondo: quello di entrare in politica.
Oggi, chi ha la possibilità di investire, potrebbe considerare un investimento di profitto assicurarsi una poltrona.
C'è chi sarebbe disposto a pagare centinaia di migliaia di euro per un incarico politico non considerandolo più un servizio al cittadino, ma solo uno strumento di potere e, di conseguenza, un'occasione UNICA per apparire e non, quindi, una possibilità di rendersi utile allo Stato ed alle Istituzioni.
La politica è divenuta solo un modo per accendere i riflettori sulla propria immagine.
Potrebbe succedere allora, ( chissà.. magari chissà ...se da queste parti è già successo) che la moglie sciocca e annoiata di un facoltoso imprenditore , chieda al marito come regalo invece che la solita pelliccia di volpe argentata, una poltroncina a palazzo e che il povero marito , acconsenta ad allargare i cordoni della borsa per comprarle infine quella visibilità che pare oggi la cosa più preziosa che ci sia.
Per questo, non domandiamoci più, (quando non riusciamo a comprendere l'enorme incompetenza che dilaga tra certi scranni), per quale motivo è stato messo quello o quell'altro in quel ruolo di comando: chiediamoci invece quanti migliaia di euro gli è costato. Confidando, intanto, nelle svendite di fine stagione.

giovedì 4 novembre 2010

HAVE A NICE DAY

In questi giorni pensavo tante cose. Il mio cervello era attivissimo. Quello che più mi piace in me , delle innumerevoli qualità che mi riconosco, è la capacità di coordinare gli svariati pensieri che si affacciano alla mente durante la giornata. Insomma, riesco a commuovermi alle lacrime per una mia questione sentimentale mentre contemporaneamente fisso un appuntamento dal medico per mio figlio e cose del genere.
Ho un cervello sorprendentemente crepitante e pare rispondere ubbidiente ad ogni mia sollecitazione.
DICO " Pare" , appunto perchè non è così, cari miei adorabili lettori. e VI DIRò PERCHè.
Due giorni fa, dopo aver dato prova, per tutto il giorno, della mia frenetica attività mentale ho dovuto ricredermi in un secondo.
M'ero sdraiata nel letto, dopo, appunto, una lunga e movimentata giornata di cose da dire e da risolvere, e ancora macinavo pensieri organizzativi e ribelli. Dopo qualche minuto di riposo decido di alzarmi ed ancora presa da elucubrazioni mentali raffinatissime , intanto, mi apprestavo a fare quei gesti a cui si presta poca attenzione come giungere fino alle pantolofole per infilarsele ed andare in un altra stanza dove altre incombenze mi attendevano, altri fitti e corposi pensieri.
Ma il destino mi ha fermato. Il destino o il senso del limite umano, della vulnerabilità congenita che ci abita e ci accudisce era giunto sulla mia strada per arrestare le intenzioni, per interrompere il flusso dei miei pensieri pretenziosi , per mortificare la mia passione altera, per prostrare il mio corpo e strapparlo alla mia vanità: insomma sono scivolata malamente : il piede posto in fallo s'è proiettato in alto trascinando il capo violentemente sul pavimento. A quel punto non ho più pensato, nè ho sentito, stranamente alcun dolore, ma un colpo vuoto di materia che si allontanava da me fatta di sangue e vita. Il cervello rintronava docile nella scatola cranica colpita e pareva alla mercè d'ogni palpito del sangue: non ero più io che coordinavo il fiato ed il pensiero, ma la testa che suonava il ritmo crudele dell'assenza.
Non posso neppure dire di avere perso i sensi dato che mi è difficile riacquistare la consapevolezza di un tempo che non aveva più la misura della mia esistenza, ma ricordo invece perfettamente come fossi obbligata a seguire la compromessa vitalità del mio cuore , del respiro e del mio sguardo che si perdeva nel tonfo doloroso che lo governava. Non ero più io , ma solo la natura del corpo che stabiliva il suo declino senza possibilità di intercessioni. La vita fuggiva ed io ero inerte spettatrice.
Non mi soffermerò sul lungo pellegrinare infruttuoso e doloroso dei giorni che seguirono la mia caduta.
Ma un pensiero nuovo si è affacciato alla mia mente. Un dubbio che si fa certezza inquietante.
Cosa siamo se non ridicoli ed estemporanei pulsazioni che una fatalità da nulla può amministrare e spegnere? E di tutti quei miei pensieri attivissimi e devo dire intelligenti che andavo ad elaborare con tanta maestria cosa ne è rimasto? Ho perso tutto.

Ma non mi interessa neanche un po'.