
Ho assegnato al mio corpo le passioni che abitavano l'anima e che non avevano voce. Io non le conoscevo eppure le sentivo. Allora ho lasciato che le mani e i fianchi le interpretassero ma indegnamente, ma artificiosamente, ma ingannevolmente.
E ho consumato il tempo successivo a cercare di spiegarti e di spiegarmi che non era quello che volevo condividere bensì altro di cui ho perso le tracce.
In questi giorni nebbiosi ed umidi mi prendo cura del mio corpo come fosse uno straniero infermo: lo vesto accuratamente, lo nutro di acqua e CIOCCOLATA e di ogni cosa che più l' aggrada.
Ieri sera sera , per esempio, l'ho rimpinzato di patatine PAI.
Eppure mentre lo guardo diventare stanco, spossato, inerte e muto, so che non sono in esso, in ogni caso, d'essere altro da lui quasi totalmente. Mi adatto al suo passo con grande tenerezza.
L'ho mandato in avanscoperta a rappresentare le mie pulsioni così sfaccettate e talmente complicate da non poter essere raccontate.
Sono piena di nostalgia di quelle ore governate solo dai miei patimenti.
Sono piena di tristezza per non aver saputo riconoscerne la natura potente e immortale.
Li avevo accomodati nei salotti di questa città distratta, avevo dato loro nomi e ruoli definiti e accettabili.
S'erano mimetizzati tra i colori grigi di questo tempo tanto pieno di immagini da parere avvolto nel buio più totale. Ma non era il loro posto e si sono dileguati contro ogni mia volontà.
Non ne ho più nulla, se non discorsi verbosi, se non battibecchi senza contenuto.
Te l'ho detto: la mia intelligenza non mi risolve e non mi nutre. La mia intelligenza ha prove che non mi servono. Sono verità inincidenti al mio sentire. Sono altro da questo.
Ciò che c'è ora è una conversazione che abbandono. Non ho scelta.