lunedì 16 marzo 2009

TI AVEVO RAGGIUNTO


Mentre mi avviavo lungo la via ero cosciente che stessi abbandonando la strada maestra per aprirmi un nuovo sentiero. Un sentiero che non era stato ancora tracciato. Malgrado avessi un tono ed un vestito consueto mi sembrava d'essere come rivestita di pelli d'animale selvatico. Mi sembrava d'avere un machete in mano e graffi sulle braccia. T'avevo raggiunto. E guardando tutto il tuo corpo fatto di braccia , cosce, mani grandi e sguardo limpido io già immaginavo di forgiarlo. Ne stavo distante per sentirlo nudo ancor prima che lo fosse, ancor prima che si rivelasse, ancor prima che potesse appartenermi . Già sapevo che con il tocco delle mie dita avrei attraversato la tua pelle segreta ed esclusiva, già mi appropriavo delle tue labbra bagnate . Già il mio corpo sapeva del tuo odore prezioso. Già sentivo la tua essenzialità invadere i miei sensi. Già la profondità fluida della mia carne rispondeva al richiamo.

domenica 15 marzo 2009

LA DOMANDA

Così lei aveva rivelato la sua debolezza .
Aveva mostrato lo spazio più vergognoso e segreto del suo sentire. Lei aveva svelato il suo immaginario profondo che non poteva esprimersi se non con l'accettazione ed il riconoscimento da chi poteva negarle il senso. Ed il senso doveva essere nel corpo di lui che avrebbe incarnato la sua interiorità ed il suo desiderio.
Lei stava lì : pensosa ed inquieta. Lei stava lì: lontana e confusa. Inizialmente sembrava fosse reale la possibilità di un vissuto senza tempo ossia eterno. Invece presto s'era svegliata e tutto aveva avuto un altro aspetto. c'era stato un altro confronto. Era arrivato il ritmo del giorno e il susseguirsi delle incombenze e delle domande. Avrebbe voluto tornare all'illusione del sogno.
Avrebbe voluto non chiedere nulla. eppure il suo desiderio era nella scelta. era nell'attesa . Era nella domanda e non avrebbe potuto vivere in altro modo quell'amore miracoloso.

sabato 14 marzo 2009

IL CORPO ED IL CUORE

Sono molto tollerante con i miei desideri, anzi sono compiacente. Questi sono circospetti e famelici come iene su una preda agonizzante ed io lascio loro fare senza mai intervenire. Voglio individuare mille pretesti per i miei gesti disordinati e riesco a trovarne più di qualunque altra persona. Ho mille attenzioni per il mio corpo e soddisfo i suoi appetiti anche ingiustificati.
Il mio cuore invece non vuole afferrare nulla. Ha bisogno del vuoto e della fame. Vuole la carestia, l'assenza, la sobrietà dei gesti e della frequenza. Il mio cuore vuole sanguinare. S'accompagna agli occhi chiari ed al sorriso morbido del viso, s'accompagna al movimento desiderante e trepidante del pomeriggio. Il mio cuore guarda innocente e vergine il pulsare delle ore e del sangue richiamato da una voce leggera e da un brivido ardente. Il mio cuore ha fretta.
Il mio corpo si prepara all'abbraccio per ore, si disseta senza fretta e senza ragione. Ha il tocco caldo delle dita e del ventre generoso . Si nutre alla tavola senza parlare, il cuore confonde la corsa e cede il passo all'oblio.

C'ERA UNA VOLTA E ORA CHISSÀ

C’era una volta un uomo.
Aveva una barba, molto simile al figurino di Eugenio Scalfari che ogni tanto, in tv, appare per dare consigli.
Quest’uomo, però, aveva la barba per nascondersi. Per celare la sua vera identità.
Appariva come un signore di altri tempi.
Scriveva e discettava di ogni cosa – l’onnipotenza della sua penna lo portava a toccare gli abissi dell’inferno – si invaghiva di signore, scriveva giaculatorie in cui l’offesa era nascosta dalle parole che aveva appreso quando faceva il mastro carpentiere nell’officina dell’ignoranza.
La barba, l’unico elemento che portava con grande soddisfazione, era di colore bianco.
Non era per la saggezza, ma per la pochezza dei peli che crescevano e trovavano ostacoli insormontabili.
Ogni tanto – quando la sua grama esistenza lo lasciava solo in un luogo sconosciuto della penisola italiana – aveva il vezzo di interrompere i dialoghi degli altri a causa di quella frustrazione – mista a demenza – che lo paralizzava.
Pensate, egli passava le sue giornate per scovare – come un ladro – chi gli avesse rubato il gelato.
E dava la colpa a tutti. Accusava tutti di essere stati i cospiratori del grande furto.
Un giorno, quando un camminatore incrociò lo sguardo di una donna intelligente, egli si sentì ferito nell’orgoglio maschile – aveva più volte puntato lo sguardo lascivo e laido su di lei – e decise che il camminatore avrebbe dovuto essere accusato di ogni misfatto.
Bisogna precisare che l’uomo con la barba era molto malato: soffriva di crisi epilettiche, attacchi d’ansia, crisi di panico e di disturbi ossessivo compulsaivi (che sono meglio conosciuti come DOC, lui era, dunque, un uomo DOC!) che gli causavano turbe psichiche accompagnate da gravissimi periodi di depressione.
La solitudine e l’angoscia tormentavano l’uomo con la barba.
Per non sopperire a queste evidenti infermità psichiche era solito urlare –come fanno i venditori al mercato del pesce – che il mondo gli aveva teso un agguato.
Ovviamente, chi lo conosceva lo evitava con sommo disprezzo.
Chi lo incontrava – suo malgrado – pensava che fosse una persona normale.
Invece si rendeva subito conto che cercava anche lo scontro fisico – benché fosse debilitato e stanco – e sbraitava come un cane su una montagna di notte.
L’uomo con la barba era stato condannato dalla sua vita modesta a vivere delle vite altrui.
Lui, in questo modo, dava senso alla sua inutile esistenza.
Agli altri non restava altro che la pietà, la stessa che si ha per i nemici durante la guerra: avere compassione per quell’uomo così solo e frustrato a cui la vita aveva riservato un destino così beffardo, condannandolo a vivere la sua morte.