giovedì 22 aprile 2010

I MESSI IN PIEGA


E' così: il tempo incombe, la primavera fiorisce lungo il Po, la nuova Giunta comunale si sta insediando, abbiamo lasciato alle spalle antiche diatribe politiche (relegando nel dimenticatoio molti sgradevoli personaggi) e tutto prosegue nell'armonia generale . Anch'io vivo la mia giornata seguendo i ritmi ormai acquisiti durante tutti questi anni: divisa tra lavoro, figli , marito , blog e svago insomma tutto nella norma. La mattina, dunque, vado a timbrare poi entro in ufficio e così via. Nel locale dove è posta la timbratrice si trova la sede dei nostri messi e, più precisamente il centro di smistamento delle loro attività che qui di seguito elencherò:

1) distribuire le pratiche e la posta agli uffici di riferimento.
Punto.
Eppure anche per questo, spesso , sembrano avere delle reticenze, non so come definirle, delle difficoltà morfologico/cerebrali, dei dubbi amletici, delle angustie organiche, insomma: delle perplessità; per cui molto spesso si appostano vicino alla timbratrice con la pratica in questione tra le mani ed appena passa il malcapitato impiegato referente per timbrare ecco che scendono in picchiata su di lui come falchi predatori e si rivolgono al malcapitato in tal guisa: " Già che vai nel tuo ufficio ti do questa pratica da portare"
Ora, personalmente quando vado a timbrare sono sempre disordinatamente carica di orpelli di ogni genere: dal pc portatile, alla macchina fotografica, i testi scritti a casa, il cellulare, le chiavi dell'ufficio, gli occhiali da vista, la sciarpetta ormai inutile ed altre cose ancora, tutte rigorosamente in mano.
In queste condizioni ti passo davanti ai messi col mio cartellino da timbrare sperando di non essere invitata a raccogliere ulteriore bagaglio: la speranza risulta subito delusa, la solerzia dei messi , (che spesso viene meno) in questo caso non si fa sorprendere ma risulta viva e vigile per l'occasione. Ecco che un messo mi ferma con la fatidica offerta: " Già che vai in ufficio puoi portare le tue pratiche"
Fulminata sulla strada di Damasco , ormai senza più l'illusione di sfuggire all'evento, mi volto verso di lui a braccia aperte mostrando il mio carico già oneroso: " sono già stra - carica, mi dispiace. " e vado nel mio ufficio.
Di lì a qualche ora ecco che intravedo con la coda dell'occhio il mio interlocutore che si aggira all''interno del palazzo, ma ahimè senza portarsi appresso la pratica da consegnare. Mi chiedo per un breve istante il significato di questa defezione, ma poi faccio spallucce: perchè arrovellarsi il cervello su questioni irrisolvibili? Per un attimo, però avrei voluto trasformarmi da splendida squaw dai capelli d'oro in Ministro della Funzione Pubblica , ma è stato solo un istante di TRASOGNATA FOLLIA.

2 commenti:

Gillipixel ha detto...

Forse, Anto, più che un "vezzo" da impiegati pubblici, questo atteggiamento dei tuoi messi è un retaggio di antiche usanze contadine :-)
Il tuo piacevole racconto mi ha fatto venire in mente infatti scene del genere: casa colonica anni '50, inverno, tutti intorno al camino, fuori acqua che Dio la manda...ritorna dall'osteria l'ultimo dei fratelli, "Al Gìgio"...non fa tempo a mettere un piede sulla soglia che dal capannello seduto si leva una voce: "Gìgio...intanto che sei bagnato, vai a prendere un po' di legna nella stalla?" :-)

enzo ha detto...

Se tu fossi Min della Funz Pubb ti tirerei il collo, altroché!!!
Ma non lo sei, fortunatamente, e mi affeziono ai tuoi scritti.
Coraggio, è giovedì.
Salutoni