sabato 28 febbraio 2009

IL TEMPO INTERMINABILE

............................IL TEMPO INTERMINABILE


Voglio cominciare adesso a vivere il tempo che sarà, fra poco, l'istante lunghissimo che vivrò con te.
Io andrò a comprarti delle cose. Comprerò per te piccole cose e quando le sceglierò si innesterà il nostro viaggio.
Vagabonderò tra le stoffe ed i tessuti , accarezzerò con le dita leggere ogni oggetto che traboccherà del tuo odore profondo e
segreto. Infine selezionerò per te ciò che sentirò tuo e andrò alla cassa a pagare. La folla si dipanerà intorno per lasciare che il nostro tempo si propaghi libero nella città frenetica . Sarò unita a te benchè distante e separata, sarò ritrovata da te benchè lontana e straniera. Inizierà così il nostro abbraccio, nel traffico confuso e ancora nebbioso di queste strade

Comincerà così il viaggio del sogno che racconta il tuo corpo e il tuo gesto.

Comincerà così il suono della voce nel volto e negli occhi da toccare.

E sarà un tempo INTERMINABILE

giovedì 26 febbraio 2009

NON VOGLIO TOCCARTI

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Non ti tocco. Non posso toccarti. Non voglio toccarti. non voglio vivere il respiro della tua giornata, non voglio esserci, non voglio mostrarti la smorfia della noia nelle ore malinconiche. Non voglio toccarti, vedere il cammino e il peso ordinario del bere e del mangiare. Non posso guardarti, non posso guardarti. Non ti voglio al mio fianco. Non voglio esserci al tuo. Non voglio viverti se non come immagine dipanata dal fondo brumoso del mio spirito. Questa immagine io l'ho ottenuta centellinando i suoni e gli odori. Non sei qui tu, ora. Tu sei straniero assente e per questo acceso di magia muta.
Voglio vivere l'assenza ogni istante come un progetto criminoso e potente. Come un amplesso vertiginoso. Voglio sentire il desiderio premere la carne. Pretendere la voce.
Ricordi? Nel letto ti dissi di compiacere l'attesa.

Abito la separazione come ninfa che nutre e rigenera. Non possiederò un attimo del tuo tempo del vivere solito. Non mi avvicinerò a te se non per istanti disimparati. Confusi.
Non ti abbandonerò, dunque, perchè slegato da me; separato. Non mi lascerai, quindi, perchè non ti ho preso.
Condenso l'emozione nel gesto e nelle frasi di un solo istante. I toni importanti, i fruscii dei movimenti sordi e urgenti. Il tempo di questi giorni è pieno della separazione. Il tempo è gonfio dell'immagine.
Ricordi? Non potevo restare all'idea di lasciarti. Non potevo volerti all'idea di andare.
Non voglio residui dell'esistenza che si posano sulle spalle senza invito. Non voglio confondore l'amore fragoroso , l'amore bagnato con gesti consueti e svuotati di significato. L'appartenenza al nostro comune messaggio di desiderio è un condottiero glorioso e solitario che accompagna il mio passo.
Ma Toccarti..... No. toccarti. no !
Amarti ad ogni palpito disperso nell'aria, Invece! ! Volerti.. sempre!!
Le mani tese e calde nel buio, la pelle segreta e immacolata dell'immagine fantasma tra le lenzuola.
L'aspirazione vaneggia nei brividi del mio corpo e seduce questo tempo eroico. Ti aspetto.

martedì 24 febbraio 2009

IL SOGNO

Lui era stato riconosciuto in mezzo ai colori confusi della giornata. Non da lei , non da lei, ancorata com'era alle cose del mondo e della gente. Non era stato riconosciuto da lei che non vedeva il vento oscuro dell'animo, che non sapeva ancora ritornare all'età nuova, quando gli esseri umani vagheggiavano nell'aria leggera senza alcun peccato.
Era stato riconosciuto dal suo seme profondo.
Lei,l'aveva trattenuto chiamandolo , però, con voce sospesa, come per chiedergli: " cosa sto facendo?".
L'aveva contenuto nella memoria mutevole tra i ricordi improbabili di uomini amati e consumati.
Aveva infine impresso nella mente il viso e gli occhi di lui e l'aveva riposti nel luogo che le apparteneva da sempre e che s'era sviluppato nella profondità della sua epifania.

L'aveva seguito tra le case di tufo ed i vicoli nebbiosi e grigi del quartiere deserto.

Lei attraversava la strada ed ancora una ed ancora un altra. Di passo in passo, di ciotolo in ciotolo senza mai esitare, senza mai arretrare e con l'unico scopo di raggiungere il suo braccio, toccare la sua spalla , guardare i suoi occhi e baciare la sua bocca.
E andava, avanti, avanti, senza mai chiedere : " Chi sei?" senza mai chiedere: "Perchè?" Senza mai dire: " No"
Il vento la faceva volare invece che correre , la nebbia la fasciava invece che intirizzirla.
Lei andava avanti, avanti, avanti.
Quando lo raggiunse non si fermò che per avvolgere il suo sguardo negli occhi chiari di lui, non si fermò che per baciare la sua bocca e per prenderlo per mano.

Insieme continuavano ad attraversare i vicoli densi e scuri senza dirsi mai: " Cosa stiamo facendo? "Senza chiedersi: "Perchè ?" senza pensare mai " NO".

lunedì 23 febbraio 2009

NON ASCOLTO CHE IL MIO CANTO

Non ascolto che il mio canto.
E' un suono sotterraneo di viscere e sangue irruente. Proviene da me , ma non sono io.
Fiuto gli umori profondi e potenti di ciò che mi governa e guizza dentro di me come voce immune da vincoli e da restrizioni. E' una voce viva e libera. Non chiede nulla, ma preme per uscire e vedere la luce .
La ascolto docile. Mi chiama. Mi nutre e non mi da tregua. E' intorno alle mani , alle braccia , alle gambe ed al ventre come aureola tremolante e magica.
La sento: m'appartiene. Io sono il suo corpo sensibile , lei è la carezza che ne determina i limiti ed il segno. Non rispondo che al suo richiamo. Sprigiono dai pori un vento profumato.
Mi offro al fiato denso del suo desiderio, lo inseguo e lo ricordo.
Non voglio avere parole. Non ora. Sono inutili. Mi godo il senso di ciò che trasuda dal mio spirito, sono io che trabocco, sono io che emetto richiami ardenti, sono io che trascino la sorgente oltre la valle segreta. Mi sciolgo in sostanza nuova , sono acqua freschissima ed a volte sono il fuoco crepitante e sotterraneo.
Il fuoco scintilla dentro la mia anima.
Io sono la mia anima , ora. Mi disseto solo dalla mia radice calda e fondente.
Ho ceduto il respiro leggero e la voce gaudente.
Non ho più voce se non il profondo eco dei brividi della pelle umida.
Non ho più storia. Mi sembra, a volte, che non esista altro che questo.

domenica 22 febbraio 2009

NON EBBE PIU' FREDDO

Lei era a cena. Il ristorante era un ampio salone con tavoli ovali disposti in modo lineare. s'era seduta insieme agli amici e avevano ordinato diligentemente le portate . Queste erano giunte mentre avevano cominciato a parlare. Di lavoro. Lei discorreva solitamente allegra.
Lei aveva predisposto, per la serata, il suo consueto contegno affabile e mondano.

Eppure non si trovava effettivamente in quel luogo.
Gli altri credevano di conoscerla bene. . sapevano chi rappresentava. Vestiva i suoi abiti senza difficoltà, i suoi modi cortesi riuscivano a confondere e a tacitare tutto le piccole inquietudini dei conviviali.

Ma lei sapeva con certezza esclusiva d'essere altro.

Fu in quel momento che la sua ombra si alzò dalla tavola allestita. Non fece alcun rumore, ma attraversò il salone sfiorando i tavoli e gli ospiti senza recare alcun danno. Era agile ed invisibile. Si allontanò fluttuando vorticosamente.
Fu un attimo: si trovò nella stanza. Si distese con lui nel letto . Scostò le lenzuola e si strinse al fianco ardente di lui. Si allacciò con le braccia e con le gambe al suo corpo e senza parole baciò le labbra molli e palpitanti. Raccolse tra le sue carni il calore infuocato di lui e non ebbe più freddo.
Non era passato che un minuto da quando l'aveva lasciato.
Era stata sempre racchiusa strenuamente in lui ed ancorata al senso principale del suo sentire. L'ombra non si sarebbe mai allontanata da lì. Come lo amava ! Era un 'ombra innamorata.
Gli altri non la conoscevano per niente, in fondo.

LE STANZE SEGRETE: LA STORIA CONTINUA

la Sicilia all'orizzonte

E’ tipico per gente come noi, dubbiosa e caparbiamente vorace, chiedersi ,nel momento in cui ci adoperiamo in un'attività, che senso ha continuare a farla .
Scrivere nel blog per esempio.
Si scrive per comunicare. Non inganniamoci . Si scrive per svelarsi all’altro e d’improvviso, mentre scriviamo, ci accorgiamo di alcuni nostri aspetti che non avevamo preso in considerazione.
Ma non è certo per avere stupori di tal fatta che scriviamo.
Questo spazio è da riempire per opporsi al vuoto che avanza, per credere e infine per poter continuare a pensare che una carezza può ancora cambiare il mondo. Ma quale carezza?
E’ sufficiente condividere il calore ed il bisogno di stringersi l’un l’altro senza veramente comprendere, magari travisando, ma solo volendo avvicinarsi e abitare nell’altro con tutte le proprie urgenze d’essere insieme e non soli e non muti e non abbandonati?
Oppure... oppure al di là della gioia di accomunarsi , di farsi prendere e farsi amare e condividere la casa non può che preservarci dal non – senso solo una vera e profonda intuizione della essenza prima dell’altro di cui presto e facilmente riconosciamo l’ombra ed il demone celato tra le parole ed il buio?

Allora , quindi, non può bastare abitare nella stessa casa, ma è necessario per poter realizzare l'essenza profonda di se', è assolutamente necessario " vivere" le stanze dell'altro.
Le " stanze segrete”.
Le stanze sono sentieri impervi . Le stanze non hanno nulla che può ricordare l’accoglienza mondana e salottiera di un invito per un tè. Le stanze Sono pericolose.
Non siamo solo quel che mostriamo di noi, la parte più aerea e leggera di noi è quella che ci fa incontrare. Non possiamo fermarci ad una carezza fraintesa. Ad una visita all’ingresso della casa.
L'ingresso non è che l’inizio di un perlustrazione che stiamo intraprendendo.
E’ l’inizio della ricerca della bellezza sobria e radicale del seme che ci genera. . l’assoluta bellezza che è morte delle nostre miserie e vetta altissima dei nostri giorni, mano aperta a carpire il segreto dell’anima del mondo. Sarà infine la bellezza a redimere la casualità per la quale siamo esistiti…la bellezza senza nessun’altra specificazione.
Dentro questo universo sonoro io sento pulsare il senso di ciò che siamo, tutti, anche se controvoglia: è un interlocutore di una bellezza sublime, non è possibile non percepirne la gioia e lo splendore. Mozart è questo: non si finisce mai veramente...si trapassa verso l'orizzonte più ampio per gli occhi della nostra mente. In un film di molti anni fa- le ali della libertà- era la musica di Mozart, diffusa dagli altoparlanti del carcere, a far mutare anche per un solo attimo i volti dei reclusi. Non so se ricordate la scena: il protagonista con un trucco entrava nella stanza del direttore e metteva un disco sul piatto dell'impianto di diffusione sonora; dopo un istante di smarrimento la musica scendeva sui volti di quegli uomini come una liberazione assoluta.

Ma la storia continua.....


Autori:

venerdì 20 febbraio 2009

IO NON RICORDO AFFATTO

Ho sequenze spezzate come di un film interrotto continuamente. Ora le dita delle mani , ora la pupilla grande e profonda, ora l'iride azzurro cangiante, ora il verde intenso dei grandi pini intorno.
Il vento di mare stillava tra la carne ed i vestiti. I suoni erano l' abbraccio muto e caldo sospeso nell'unico giorno insieme.
Non ho ricordi, ma i gesti e le immobilità si dilatano e abitano l'assenza dominante nei pensieri e nelle emozioni.
Allo stesso modo, come allora anticipavo il distacco della pelle dalle mie mani e dello sguardo dai tuoi occhi, ora arresto l'immagine sulla presenza perduta , ma viva e ardente.
Siamo fluidi confusi e colanti nel calore del gelo notturno, siamo, ora , corpi che intingono di umori feroci ed arroganti. ma il sonno non prevedeva un sogno senza tempo. Il tempo è tornato, dunque. ha spinto le intenzioni oltre il desiderio . Ha allontanato il ricordo. Per questo motivo io non ricordo affatto.
TI Sento, invece. Adesso.

giovedì 19 febbraio 2009

IL PERCORSO DEL NOSTRO VIAGGIO






"Credo che sarò costretto a rivedere il sartiame e le vele della mia barca se vorrò affrontare l’oceano, credo che dovrò salutare per sempre certe spiagge e le consuetudini da vecchio che esse mi prospettano."

Appena arrivata in spiaggia il mare mi si è avventato schiumoso come massa d'acqua incontrollabile.Per me, cittadina, educata al suono violento,ma compresso delle auto e delle voci nelle strade , quella percezione incontenibile di acqua e vento aveva fermato il mio passo. immobile e ansiosa ho guardato il mare. Per quanto avessi scelto l'incontro coll'onda azzurra e lo spazio intorno di sabbia e vento , io avevo paura.
Non ero io che potevo col sorriso tenue e il capo reclinato sul fianco poter governare l'abbraccio del freddo incalzante e l'abisso d'acqua vorticosa, non ero io, donna languida e mirevole, avvezza a controllare e scegliere e a proporre , non ero io che potevo reggere la mia esistenza sulla sabbia e in questo inverno nuovo per me. Decisivo.

Sei nuovo. Enzo . Come me. In questo oceano dello spirito profondo che siamo. . Non siamo noi a decidere il senso nè a muovere il desiderio. Noi possiamo sedurre le donne e gli uomini che si lasciano amare e sedurre. Che si lasciano prendere per averci. Che ci fanno l'amore per conservarci. Siamo apprendisti del viaggio da intraprendere e cambiare, da inventare , Siamo nuovi . Ora .
Possiamo scrivere. E noi sappiamo farlo bene. Possiamo dilatare la parola in tanti discorsi frondosi.
Noi vogliamo, scrivendo, che ci sia la possibilità almeno per un attimo di comunicare, che esista una pur piccola piccola enorme soddisfazione di raccontarsi una storia e vedersi porgere un bicchiere d’acqua; che ci sia , delicata e sfuggente, l’eventualità di sorridere incrociandosi nei viaggi condotti un po' per gioco e un po’ per non morire.

…Se quel che vedo non è esclusivamente un esercizio onirico io sono un uomo fortunato. E al di là delle utopie posso sorridere ad un ennesimo tentativo di scoperta perché se è vero che “acqua passata ‘un macina mulinu” è ancora più vero che “un jornu giudica all’autru e l’urtimu giudica a tutti”.
Ed io , malgrado la mia ritrosia a crederci, mi sento presa ed avvinta dalla tua speranza . Per questo scrivo.

Per questo ci dobbiamo adoperare per non indietreggiare al fragore dell'acqua che avanza.
Questa acqua è il nostro tempo. Sconosciuto per te e per me. Per quanto avremo vissuto finora, saremo comunque nuovi ed impreparati a questo rendez - vous con la linfa essenziale della nostra esistenza .


GLI AUTORI:

ANTONELLA SALERA E ENZO RICCOBONO

martedì 17 febbraio 2009

NON AVEVO PENSATO

Per giorni avevo osservato gli umori del mare.
Era turbinoso e incalzante. L’onda trasudava gocce d’acqua gelata nella sabbia umida dell’inverno interminabile.
Stavo ore a riempirmi di vento e suoni marini fino a che, ebbra di freddo, mi allontanavo lentamente. Non pensavo mai al motivo che mi aveva spinto fino in quei luoghi così diversi dal fragore della città piemontese e dalle voci solite delle mie giornate. Erano stati tanti motivi. Soprattutto non volevo fingere un’armonia di intenti e di sentimenti che non mi apparteneva.

Avevo fatto tante cose in quei giorni di sopravvivenza pura. Avevo sbucciato le mie mele silenziosamente. Avevo ascoltato i suoni degli alberi affaticati dal freddo. Avevo camminato ore ed ore sulla sabbia difficile e straniera.

Avevo dedicato sprazzi divini della mia attenzione a conversazioni morbide e selvagge tra le dune abbandonate della spiaggia.

Ma più di tutto avevo inventato uno spazio potente e provvidenziale a cui non avevo mai dato un nome e neppure una giustificazione.

Allora il vento era calato d’incanto e i suoni e il fragore del mare aveva lasciato terreno fertile all’emozione e all’amore. Non avevo più pensato . Non avevo prestato attenzione che al movimento delle mani ed all’espressione dello sguardo leggero e quieto. Non sentivo alcun rumore se non il palpito del respiro modulato e scandito dal gesto e dal desiderio. Non cercavo che il calore della pelle di fuoco per scaldare quella notte fredda.

Poi non c'è stato più nulla. Nulla.

Il mare ora è lontanissimo.

Il traffico delle auto m’ha preso tra l’asfalto e il fumo pesante del giorno. Non è rimasto neppure il tempo dei pensieri e l'indolenza del ricordo. Ho ritrovato il tono e l’argomento che struttura il mio vivere in questa città. E’ scomparsa la lentezza dei gesti e degli abbracci. Le conversazioni hanno significati di utilità e di progettualità.

E come fossi tirata da un elastico teso sono sempre più lontana da quel tempo lento e soave.

domenica 15 febbraio 2009

STORIA DI UN INCONTRO, DI UNA SEPARAZIONE E D'AMORE


Lei era entrata nella stanza fredda. Lei aveva guardato il letto. Era rimasto qualcosa tra le pieghe sbiadite e sgualcite delle lenzuola? era rimasto un segno che non potesse dissolversi nelle ore e nei minuti velocissimi?
No. Non c'era nessuna impronta che potesse sostenere quel tempo.
Ma già lo sapeva e non si meravigliava del silenzio e delle cose che intorno a lei rimanevano ordinate ed indifferenti alle domande ed ai bisogni.

Niente avrebbe fatto presupporre che c 'era stato calore e movimento denso nella stanza e nel ricordo.
Lei non voleva ricordare.
Non si consolava del richiamo di immagini riproposte con altri colori ed altre condizioni. Lei lo sapeva che nell'incontro c'è già scritto il suo epilogo. Che non ci sarebbe stato abbandono se non ci fosse stato un vincolo. Accoglieva la lacerazione come un requisito inevitabile e si ascoltava cantare la sua canzone melodiosa di amore e di morte . Questo era il tempo. Non le era stato concesso che di consumare in quell'attimo e il suo palpito ed il suo disegno. Già la sua genesi l'aveva previsto. Tutto s'era svolto e concluso. Non sta a noi umani riproporre il suono ed il tempo già compiuto. In ogni cosa vitale c'è all'interno della sua essenza profonda la sua risoluzione fatale. Ma questa certezza non leniva lo strazio del cuore e degli occhi.
Lei guardava .. guardava e guardava.
Non avrebbe trovato nulla di quello che c'era stato.
Ma mentre guardava e guardava ed ancora guardava il letto, il tavolo, ed i resti sciolti delle candele viola, s'accorse che non era la questione di ritrovare un ricordo od un 'immagine precisa dei gesti e della passione. Invece sapeva che ciò che era avvenuto s'era trasformato in sostanza e nutrimento per i giorni a venire.
E questo per lei fu un pensiero dolcissimo.

domenica 8 febbraio 2009

QUI


Qui . Proprio qui, ricordo perfettamente. Appena ho visto la fontana mi sono ricordata.
Ma è poco corretto parlare di ricordo perchè era più di un ricordo, si trattava di una sensazione d'essere a 10 anni sui gradini di mattoni rossi.

Qui.
Proprio qui. Seduta, vestita di bianco. Mangiavo un cono gelato. M'ero accomodata appoggiando il gomito nel sostegno più alto.
Mio padre mi aveva scattato delle foto. La certezza d' essere stata in quel punto , la verità inconfutabile di essere persona diversa ma uguale a quei gomiti posati , a quelle gambe appoggiate tra i cotti rossi ed il giardino, mi dava una sofferenza indicibile. Ho sentito, che le mie riflessioni, benchè oziose e spassionate, nascondevano una impressione viva: io stavo visitando una tomba . Cercavo tra i ciotoli rossi e levigati perfettamente, io cercavo una traccia di ciò che ero stata o peggio ancora un segno di quello che avrei potuto essere che non sono stata , avendo le braccia e l'essenza della bimba che ero, oramai confusa tra ciò che ho l'impressione di rappresentare e il volto beato di ieri.

Mi sono seduta ed ho riso . Ho detto ( e il tono avrebbe potuto apparire a Enz0, un tono borghese) : " scattatemi una foto come allora " Ma non ho creduto neppure per un attimo di riproporre e il sentimento e lo scheletro di quello che potevo mai essere stata.

Tutto era finito.

Il luogo così sano e rigoglioso di mattoni ed acqua e sole non era il mio luogo. Non lo sarebbe più stato, ma sarebbbe stato e lo era , qualcosa di più terribile cioè sarebbe stato la traccia del mio epilogo inevitabile. Quel che mi era stato svelato, guardando la fontana e guardando quello che avevo visto un tempo , era un qualcosa di palese ed insieme disperante: il fatto d'essere allora come ora una cosa passata. E di continuare ad esserlo ad ogni passo ed ad ogni respiro. Incontenibile pensiero. ed incondivisibile.

Intanto il sole vibrava intorno e io mi allontanavo senza voltarmi

sabato 7 febbraio 2009

giovedì 5 febbraio 2009

GLI ANNI EROICI

Lei era salita sull'auto. Aveva messo la cintura Aveva acceso il lettore con la sua musica.
Era il primo pomeriggio di un giorno di febbraio. Aveva imboccato il viale che attraversava la pineta, una macchia di verde scuro tra il sentiero d'asfalto. L'aria era leggera ed il sole si infilava tenue tra le fronde dei pini e la boscaglia.
Era presto e lei guidava senza fretta sfaccendatamente.
Spesso lei ritornava in questi luoghi .
Ritrovarsi tra quei colori familiari e la lunga pianura maremmana la rasserenava tutte le volte. Erano sue le strade e le lunghe pianure gialle e verdi distese intorno alla strada fin che poteva guardare.
Il senso di quei luoghi scorreva col sangue come forza purificatrice.
Lei chi era?

Aveva messo da parte l'idea di se' stessa e dei ruoli e delle abitudini consuete e delle immagini di superficie di cui era costituita. Da un po' di tempo lei si faceva spazio tra le pieghe di questa Antonella ( se pur presente e dominante ) e come spettatore di fiera si addentrava tra i cunicoli profondi del suo spirito per arrivare al nucleo cavernoso ed essenziale di sè. Per arrivare a quella parte che, liberata da strati di strutture e di vincoli, fosse autentica e rivelatrice del proprio esistere puro.

Per questo non voleva parlare di ciò che la indaffarava in tutti quei suoi giorni scanditi dalle regole ordinarie . Non sarebbe stata lei, non sarebbe stata lì , in quel luogo, con quel desiderio, con quell'attesa. Probabilmente, (e questo la faceva sorridere malignamente, ) probabilmente sarebbe stata a disquisire su un intervento da adottare per un servizio pubblico o avrebbe discusso dicendo: " io ... io " avrebbe preso caffè veloci nei bar del paese. Avrebbe camminato nelle vie del centro e nella Piazza polverosa. Forse avrebbe ascoltato l'ex marito, senza rispondere e senza comprendere. Avrebbe taciuto il dubbio, avrebbe atteso il silenzio. Avrebbe detto: " Sì Sì ... Facciamo... facciamo..." avrebbe salutato trattenendo l'ansia e la solitudine. Avrebbe aspettato. Frenato. Avrebbe supplicato. Sperato. In silenzio. Avrebbe detto: " NO... no... "
Ma era andata via.

Anche in quel momento c'era silenzio. Il vento leggero attraversava il suo corpo passando dal finestrino dell'autovettura.

Il suo viaggio aveva scavato nel fondo del pozzo e portava alla luce nuovi bisogni. Nuovi movimenti. Aveva rivelato un nuovo gioco. Un gioco gioioso che non chiedeva altro che essere giocato. senza altra ragione che il gioco stesso.

C' era una coscienza ardente che chiedeva solo d'essere bruciata e consumata nell'attimo e nel desiderio. E per questo, per quanti dubbi avesse ancora e per quanto incomprensibile poteva apparire al mondo, lei aveva preso l'auto e stava attraversando la campagna toscana fino a Grosseto. .

martedì 3 febbraio 2009

LA COSA

Ti rendi presto conto di avere una specie di posizione. Credi che sia privilegiata . Pensi quasi di essere l' unica. All'inizio sei convinta che tramite la cosa tu possa ottenere altre cose. Ti relazioni con gli altri sempre in funzione di quel che rappresenti per gli altri . ossia quel che porti con te, la tua immagine di donna, anzi di femmina.
In effetti molti ti fanno credere che potrebbe essere possibile, il capo piegato da un lato, il lieve sorriso. Molti ti chiedono questa cosa come se veramente fosse preziosa. Sei tu che possiedi la cosa e la puoi barattare. Oramai conosci a memoria il rito che accompagna il desiderio d'avere la cosa: lo sguardo, il movimento, il tono. Pensavi di poter avere altre cose in cambio, ma è una illusione. Certe volte ti diletti a vedere lo stesso tuo gioco giocato altrove e col pensiero anticipi le mosse e le piccole vittorie. Ma alla lunga ti sei stancata della cosa. Sei tentata , a volte ed anche a malincuore, come per porre fine alle sofferenze ed alle smanie della tenzone, di prendere la cosa , posarla sul tavolo e dire:" ok, prenditela: credimi, non vale granchè" e poi lasciaresti la stanza per cercare altre cose. Ma chissà cosa......

ndr : Non potendo pubblicare le foto della cosa ho pubblicato un 'altra cosa

lunedì 2 febbraio 2009

NON TI AVVICINARE

ENTRI NEL MIO BLOG E SPERI DI TROVARCI DELLE GRANDI RIVELAZIONI?
......
UNA FORSE CE N'E'. .....
HO CERCATO A LUNGO .
LA GENTE LA NASCONDE ACCURATAMENTE. EPPURE E' LA PARTE PIU' VERA.
LA PARTE CHE CI TROVEREMO DI FIANCO AL LETTO DI MORTE:
.....................................................
LA NOSTRA OMBRA.
.......
ECCOLA LA MIA OMBRA. DA MESI NON FA CHE PREMERE PER USCIRE FUORI.
NON VOGLIO PIU' SOFFOCARLA. CHIAMAVO IL SUO GRIDO : AMORE
CHIAMAVO LA SUA PULSAZIONE: SOFFERENZA.
........................
ECCOLA! NON TI AVVICINARE.
..
E' SILENZIOSA. E' COMPIACENTE. SPESSO SORRIDE. HA UN SORRISO SPECIALE E LUBRICO, MA NON HA PIETA'.
LEI NON SI INCURIOSISCE DI TE CHE TI AGITI RECITANDO LE PARTI SOCIALI CHE T'HANNO ATTRIBUITO. LEI NON SI INTERESSA AFFATTO DELLA TUA COLLOCAZIONE.
HA COMINCIATO A LIBERARSI DEGLI STRACCI INUTILI E SI MUOVE NUDA E POTENTE. LEGGERISSIMA.
.........................................
ECCO LA MIA ANIMA NERA.



..
MA NON TI AVVICINARE. HA IL FUOCO TRA LE DITA E NON E' ACCOMODANTE.
NON SI PREOCCUPA DI CIO' CHE VAI MOSTRANDO IN PUBBLICO.
TUTTO CIO' L'ANNOIA MORTALMENTE.
LEI NON E' UN QUALCUNO E QUINDI NON HA NULLA DA PERDERE
HA UN SOLO RESPIRO. E LO VUOLE CENTELLINARE. NON HA TEMPO PER LE PRESENTAZIONI. HA LA FORZA DELL'ULTIMO MINUTO.
L'ANDRENALINA SCORRE NEL SANGUE CALDO.
HA LO SGUARDO DETERMINATO
SA COSA VUOLE .
LO PRENDERA'.
....................
NON TI AVVICINARE ..... SE HAI PAURA

Valenza - Oratorio San Bartolomeo



f






Rendo omaggio al palazzo più prestigioso che abbiamo a Valenza. e poi... cavolo... un po' di cultura.... !!!!! non si può parlare solo di politica!!!

L’antica Chiesa di Santa Caterina, oggi Oratorio San Bartolomeo, in Via della Banda Lenti ai limiti del centro storico-medioevale della città, risale al 1584, anno in cui venne edificata su commissione delle Suore Benedettine. Adibita a magazzino all’epoca del governo napoleonico, è stata riconsacrata e intitolata a San Bartolomeo nel 1835. Il suo restauro, (1840), si deve alla Famiglia De Cardenas, che si è riservata un piccolo cortile di passaggio al Palazzo Trecate, ricca abitazione della famiglia, ancora oggi conservato a fianco della chiesa, ed è opera di Francesco Gabetta, artista di probabile provenienza lombarda. In questo contesto è stato collocato all’ingresso dell’edificio un pregevole portale in cotto, già appartenente alla chiesa di San Francesco, abbattuta definitivamente nel 1858, dopo le devastazioni prodotte da due successivi incendi.
Fino al 1902 la chiesa è stata regolare sede di culto e il restauro, che ne aveva valorizzato ulteriormente il pregio artistico, ispirandosi allo stile neogotico ancora impregnato dal gusto “troubadour”, era ancora perfettamente conservato negli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Dal dopoguerra si è progressivamente determinato, tuttavia, il completo abbandono dell’edificio, il cui recupero è iniziato negli anni novanta ad opera dell’amministrazione comunale, che ha recentemente intrapreso un’ultima fase di restauro (2003), protrattasi fino al 2007.
La costruzione è composta da un corpo principale a base ottagonale con due piccole cappelle ai lati, da un basso fabbricato all’angolo tra piazzetta Lanza e Via Banda Lenti, utilizzato come sacrestia, da un cortiletto recintato con accesso diretto alla via, in passato allestito a sepolcreto, e da uno spazio a pianta rettangolare, originariamente con funzione di coro e presbiterio, la cui volta a botte è crollata nel 1972.


In origine tutte le superfici interne ed esterne dell’edificio erano interamente ricoperte dalla decorazione ottocentesca “trompe l’oeil”, intesa all’imitazione di un’architettura ad effetto scenografico, realizzata attraverso la riproduzione di elementi strutturali costruttivi e stilistici.
All’interno è possibile ammirare i resti dell’antico altare, il cui paliotto è conservato al Museo del Duomo, un pregevole lampadario a candele originario, i candelabri a braccio, per la maggior parte autentici, il pavimento realizzato con l’utilizzo di formelle originali in cotto, gli intonaci decorati oggi consolidati. Il restauro ha permesso di recuperare anche il soffitto ligneo della sacrestia e la pavimentazione in ciottoli di fiume policromi del cortiletto esterno.
Di notevole interesse i resti degli affreschi esterni, in stile neogotico, e i fregi in cotto e pietra in gran parte ripristinati. Il cancello in ferro battuto che chiude il cortiletto è stato inserito per volontà della famiglia Ferrari-Trecate e ancora riporta, visibili tra gli elementi decorativi, le iniziali F/T.
Dopo il restauro del 2007 divenuto di proprietà comunale, l'Oratorio è ora sede di mostre, concerti e conferenze. Può anche essere utilizzato per celebrazioni matrimoniali


domenica 1 febbraio 2009

IL VIAGGIO

Lei era traboccante. Non avrebbe potuto definire il senso di pienezza e di forza che la trasportava nelle azioni, in generale e nelle parole. Non le apparteneva COMPLETAMENTE perchè il suo demone aveva mani grandi e muscoli possenti nelle gambe. Lei si sentiva tirare inesorabilmente da questa corrente tiepida che soffiava tutto intorno. Parlava con i colleghi ,in quei giorni , e cercava a fatica di ridimensionare il tono della sua voce divenuto impaziente e quasi SELVATICO. Non era sua la voce ma apparteneva ad una essenza profonda che nessuna indagine per quanto accurata avrebbe potuto far affiorare. E RICONOSCERE. Sconosciuta e nuova , la voce cantava . La voce la invocava. Lei aveva deciso di seguirla , preparava le sue valigie con cura e quando qualcuno preoccupato le diceva: " ma dove vai così'.. da sola? " lei sorrideva bonariamente e spiegava che non era sola che c'era questa sua anima ( non si azzardava a chiamarla "demone" per non turbare gli altri) che sarebbe stato un viaggio nuovo verso una nuova direzione. " Quale? " chiedevano turbati . E lei sorridendo ancora ma con tono mite e rassicurante rispondeva " Non la conosco".
Ma era questo ciò che voleva. Il demone era sceso dai suoi lidi ed aveva trovato il modo per far vibrare la sua anima e liberarla ed accenderla. Lei guardava la sua aria feroce e la sua immagine lasciva , ma non ne aveva paura. Il demone le stava appresso senza parlare. Il silenzio ardeva come fuoco vivo e vibrante. Lei chiuse la valigia lentamente. Guardò dalla finestra il cielo nebbioso e cupo e se ne compiacque. Disse : " che bel cielo! "
Una luce fosforescente splendeva sotto i lampioni. La nebbia era formata da piccole macchie bianche fluttuanti tra i vecchi palazzi della città. Bellissimo.