
Ad iniziare dal 1993, per effetto di tangentopoli, sono state introdotte una serie di riforme della Pubblica Amministrazione, che, in apparenza, sembravano dovessero rendere più efficiente la stessa.Si tratta delle cosiddette «leggi Bassanini».Con la scusa di separare la funzione di programmazione, di competenza dei politici eletti, da quella di gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali, per il conseguimento degli obiettivi programmati, gestione la cui competenza fu attribuita alla dirigenza (principio di per sé giusto ed ineccepibile), si introdusse, di soppiatto, il cosiddetto «spoil system», a maldestra imitazione del sistema americano (ad imitare il peggio degli altri noi italiani siamo imbattibili).In realtà se da un lato la programmazione e la gestione, che prima di tangentopoli erano entrambe di competenza degli amministratori elettivi (con i risultati disastrosi che conosciamo), venivano finalmente e giustamente separate, dall’altro (e qui stava la fregatura) ai gestori, ossia ai dirigenti pubblici, fu tolta la inamovibilità perché la loro nomina e revoca fu attribuita alla scelta «fiduciaria», ossia politicante, del sindaco, del presidente provinciale, del governatore regionale o del ministro di turno.Ufficialmente questa riforma fu motivata con l’argomento secondo cui era giusto dare alla «casta», che dovrebbe rendere conto all’elettorato del suo buon o mal governo (ma quando mai è stato così?), la possibilità di nominare, tra quelli a disposizione in organico, i dirigenti più bravi e capaci e quindi di portar efficacemente avanti il programma politico premiato dall’elettorato.
In realtà, questo argomento, è stata la classica foglia di fico per coprire la spudorata sfacciataggine della casta politicante.Infatti, dopo tangentopoli, la casta ha capito che gli atti di gestione non devono più essere firmati dai propri membri, in modo da sfuggire ad eventuali «avvisi di garanzia», ma essere attribuiti alla competenza dei dirigenti resi, però, dipendenti, mediante nomina o revoca, dalla «fiducia» dei politicanti in carica.Insomma, la casta ha provveduto, dopo l’esperienza di «mani pulite», a premunirsi del «parafulmine».
All’epoca, contro Bassanini (centro sinistra), autore di quelle riforme, il professor Sabino Cassese, luminare del diritto amministrativo, si dimostrò sin troppo facile profeta scrivendo, su Il Sole24ore, che l’esito delle nuove norme sul rapporto tra dirigenza pubblica e politica sarebbe stato inevitabilmente «clientelare».Cassese, invece, proponeva di rendere sì rimuovibile, a rendiconto, il dirigente incapace, e nei casi più gravi licenziarlo, ma tutelando la dirigenza durante l’esercizio delle sue funzioni da ogni influenza dei partiti e dei sindacati, mediante nomina per concorso pubblico e non per fiducia politica, e quindi restituendo ad essa la inamovibilità, in corso d’opera, con il rinvio di ogni valutazione, su base strettamente tecnica e non politica, e della eventuale rimozione, alla fine dell’esercizio.
Cassese rimase inascoltato e la riforma Bassanini iniziò a produrre i suoi effetti partendo dalla categoria dei segretari comunali e provinciali che furono destatualizzati e posti alle dipendenze di un’Agenzia nel cui albo i sindaci e presidenti di Provincia possono scegliere: naturalmente, secondo la vulgata ufficiale, la scelta avverrebbe sulla base delle «capacità»dei candidati alla nomina e non sulla base della «fiducia politica»!Un meccanismo di nomina e revoca analogo fu introdotto anche per la dirigenza sia dello Stato che degli enti locali.Il tutto alla faccia dell’articolo 97 della Costituzione (antifascista!) che, per garantire l’imparzialità della pubblica amministrazione, un principio discendente direttamente dalla Rivoluzione Francese, impone, per accedere ai pubblici uffici, il pubblico concorso e stabilisce la responsabilità dei pubblici funzionari esclusivamente verso la «nazione»(il

che significa responsabilità amministrativa, penale, civile e contabile) e
non verso i governi in carica, che vanno e vengono.
Il sistema attuale, invece, fa dei segretari comunali e provinciali dei veri e propri «segretari» del sindaco o del presidente di Provincia e fa dei dirigenti pubblici funzionari di fiducia, partitica, dell’assessore o del ministro.Ridotta la dirigenza ad una categoria di «yes men» l’imparzialità della Pubblica Amministrazione, che già di per sé non è mai garantita in assoluto essendo l’uomo sempre fallibile e «peccatore», si è andata a far del tutto benedire.Non pago di aver così reso possibile l’infeudamento partitocratico della dirigenza pubblica (del resto, il suo retroterra ideologico lo portava inevitabilmente a preferire i «commissari politici» ai funzionari amministrativi «impolitici»), Bassanini introdusse la possibilità di reclutare mediante contratto di diritto privato, su nomina fiduciaria politica, un certo numero di dirigenti e funzionari al di fuori della dotazione organica, ossia a tempo determinato con durata dell’assunzione pari al mandato elettivo del politico di turno (inizialmente si stabilì nel 5% dell’organico la percentuale dei dirigenti e funzionari a contratto; successivamente il governo di centro destra ha aumentato tale percentuale). ( n.d.r a Valenza abbiamo su sei tre Dirigenti con contratto a tempo Determinato ) Si può immaginare la conflittualità che si è, di conseguenza, creata tra la dirigenza di ruolo, un tempo serbatoio della memoria storica e dell’esperienza amministrativa della pubblica amministrazione, e questi neodirigenti di nomina politica, entrati negli enti, a percepire
fior di stipendi, senza concorso, ossia senza la procedura ordinaria prevista dal citato articolo 97 della Costituzione.A chiudere il cerchio arrivò poi, con la scusa di semplificare l’iter decisionale, l’abolizione, alla faccia della trasparenza e dell’imparzialità, dei controlli amministrativi (eliminazione del commissario di governo per le Regioni, dei co.re.co. per gli enti locali e del «fastidioso», per la casta quando era negativo, parere di legittimità reso dai segretari comunali e provinciali sulle deliberazione di giunta o consiglio).A tutto questo si è, infine, aggiunta la moltiplicazione clientelare del reclutamento, a mezzo di contratti atipici, di personale precario (co.co.co., co.co.pro., tempo determinato, interinali, presunti consulenti di ogni genere e specie), sicuramente impreparato a lavorare in un ente pubblico ed in gran parte non necessario (anzi: il personale precario spesso è preferito dai politicanti di turno perché più ricattabile del personale di ruolo il quale per essere convinto a derogare, o «elasticizzate», la legge deve essere «corrotto» con promesse di carriera o altre prebende).La consequenziale esplosione della relativa spesa non può perciò meravigliare: ma, si sa, il precariato è il serbatoio dei voti di scambio per la rielezione.Naturalmente, nel quadro sopra delineato, i dirigenti e funzionari pubblici che continuano ad ispirare il proprio ruolo ai principi di imparzialità dettati dalla Costituzione diventano i «nemici» dell’amministrazione di volta in volta in carica.Come esiste una schiera di dirigenti e funzionari che non accetta affatto il rischio di dover rispondere in sede giurisdizionale (civile, amministrativa, contabile o penale) per aver «acconsentito», in cambio di prebende varie, alle malefatte della casta, va purtroppo anche detto chiaramente che molti altri dirigenti e funzionari stanno, invece, al «gioco» (o vi sono costretti a stare, non avendo alternative).E’ doloroso constatarlo ma, per effetto delle disastrose riforme degli anni ‘90, il numero di tali dirigenti e funzionari disposti a chiudere, se necessario, entrambi gli occhi, va sempre più aumentando. Essi accettano di stare al gioco in cambio di incarichi e prebende e sono così sprovveduti o impreparati (o sono costretti a far finta di esserlo) da non rendersi neanche conto (o fingere di non rendersene conto, sperando nella buona sorte) dei rischi che assumono su di sé compiacendo illegittimamente la casta politicante.Questo genere di dirigenti e funzionari, grati all’assessore o ministro di turno cui devono l’incarico, ben remunerato, sono disposti ad accontentare in tutti i modi chi ha dato loro «fiducia». Un sistema perverso voluto dalla casta, per la precisione iniziato dalla sinistra della casta (Bassanini) ma continuato dalla destra, sostenuto anche dal particolarismo di quegli imprenditori ed elettori che pur di vincere la concorrenza o il concorso sono disposti a votare clientelarmente i politicanti che sanno possono accontentarli.Alla luce di tutto questo non può, purtroppo, far meraviglia, e si tratta solo di un esempio tra i molti che si potrebbero fare anche di rilevanza penale, la notizia circolata qualche mese fa su quel sindaco di un comune dell’entroterra romano che ha rimosso dall’incarico il comandante dei vigili urbani non avendo quest’ultimo raggiunto l’«obiettivo» di introitare la somma preventivata in bilancio di 200.000 euro a titolo di multe da infliggere ai cittadini.Il poverino si era fermato a quota 120.000 euro.Le prime vittime della casta degli inutili politicanti, europea, nazionale o locale, sono
gli stessi dipendenti pubblici, ( oh yeah) quando essi non vogliono rendersi complici della malversazioni partitiche o sindacali e cercano di fare onestamente il loro dovere.I politicanti sanno benissimo che la loro rielezione è assicurata dal clientelismo e non dalla buona amministrazione, della quale, al momento del voto, non importa a nessuno.
Al venir meno del senso dello Stato, anzi del senso nazionale di ciò che è pubblico e che dovrebbe in qualche modo godere di una sorta di «sacralità», hanno contribuito tutti: cittadini, imprenditori, casta politicante e sindacati, statali e pubblici dipendenti, giornalisti prezzolati, professionisti ed autonomi, interessi privati, localistici e particolari del genere più vario, non escluse cooperative, ONG, organizzazioni sussidiarie sia laiche che religiose (che campano, alla faccia della sbandierata sussidiarietà, con i soldi pubblici).Solo una forte e sentita etica dello Stato, che restituisca dignità ed immagine sociale ai pubblici dipendenti, può far funzionare la macchina pubblica.
articolo di
Luigi Copertino