martedì 21 settembre 2010

HO IL TEMPO CONTRO

Sono giorni, ma forse sono mesi, che mi pare d'avere come interrotto la mia vita.
Ossia la vita mi si muove intorno ed, anzi, si da un gran da fare con le sue storie strepitanti, piene di parole e di rivalse che, però, non mi riempiono il tempo.
Mi sembra di disperderlo , di abbandonarlo alle mie spalle a dare le risposte che dovrei dare io, a difendere i principi che dovrebbero appartenermi . Oppure ancora peggio , il tempo mi sta ingannando: mi lascia ad ascoltare chiacchiericci futili su come essere protagonisti di una storia che non appartiene a nessuno di coloro che la cantano. Non a me, sicuramente non a me , che però non mi muovo piena di un terrore misterioso di essere così come sono : in preda alle ore tumultuose che si allontanano da me irrimediabilmente perdute.
Non ti guardo, tempo. Non ti riconosco. Il sangue pulsa ed avanza, ma i sensi non sono attenti e non partecipano alla tua spinta naturale. avanti, avanti, avanti. Ma senza ragione, ma senza il significato di un palpito , di uno sguardo alla vita che percorre il suo destino. E qual'è il suo destino?
La fine. la fine. La mia morte. Diciamolo. La fine di quel tempo ora dissipato, ora allontanato al mio cospetto, alla mia passione . Inutile.
Il tempo è contro di me. E' indifferente alla mia assenza. Va oltre e non mi aspetta. Eppure questo non lo rende più prezioso e più desiderato. Lo osservo agitarsi tra le parole inutili degli uomini, tra la loro illusione d'essere presenti al tempo e gestori dei suoi attimi invece selvaggi, invece carnivori invece assassini. Ridicoli.
Vorrei dire: " Basta" E condividere con gli altri la consapevolezza dell'insulso vorticare di questo tempo, ma mi manca il sentimento sincero, l'autentica speranza, la risposta soddisfacente. lo scopo, insomma. Lo sto cercando e spero di avere ancora un po' di tempo per farlo.

giovedì 16 settembre 2010

QUANDO L'INFORMAZIONE E' PIRLA


Lo sappiamo: tutto ciò che esiste comunica all'esterno un suo messaggio. Si concede agli altri in qualche modo.
Si comunica anche quando non si vuole avere a che fare con l'esterno proprio informando del rifiuto con la privazione della propria immagine.

Tutti ormai sappiamo che ci sono tanti modi di comunicare.

Noi esseri umani utilizziamo prevalentemente un linguaggio di parole: astratto e concettuale. In aggiunta a ciò, spesso il linguaggio è tecnico e specifico per settore (sigle) o convenzionale (lingue diverse anche nella grafia) ed immagini ( foto, disegni colori, luci)

Non è detto, però che solo per il fatto che tutti noi comunichiamo significa che sappiamo essere dei buoni comunicatori, cioè che sappiamo informare in modo semplice, che sappiamo attirare l'attenzione della gente e soprattutto non significa che, solo per il fatto che comunichiamo e che informiamo, noi diciamo cose furbe.
Basta navigare per Internet o girare per la città: entrambi pieni zeppi di immagini, di parole sciocche, di pretenziose sentenze su come è la vita e come invece deve ESSERE. ( un esempio lampante: gli innumerevoli blog del povero Piero)
Certi cartelli sulle strade scrivono in carattere cubitale: "Grande divertimento!!!"
e già mi disorienta un po': il mio divertimento? il tuo divertimento? e chi lo dice che potrebbe combaciare? Insomma. ....
Non basta attaccare grandi manifesti, non basta scrivere di avere ragione.
Ci vuole altro.

Ci vuole innanzitutto la ragione dalla propria parte ( il che è difficilissimo) e poi ci vuole la certezza del divertimento. La prova del divertimento. Oppure dobbiamo fare un manifesto e scrivere: "Ho fatto di tutto per organizzare una cosa che potrebbe piacervi, Ditemi voi, poi , come va la festa"
Insomma, la comunicazione deve essere autentica, ma anche interessante. Sincera, ma anche attraente. La comunicazione deve essere ambiziosa, ma volenterosa e leale. Deve aiutare ad attraversare la strada come un boy scout, non dare spintoni durante la fila alla cassa. E se potesse chiudere i cancelli alla ipocrisia, all'arroganza. e magari mandare a fanculo qualcuno che se lo merita. Perchè no?
Un bel cartello con scritto: " SEI UN PIRLA. "Che tanto di pirla se ne trovano sempre e andiamo sul sicuro.
La foto è un esempio di comunicazione, si capisce cosa voglio dire, no?. GNE' GNE'.

domenica 12 settembre 2010

CITTA' DI VALENZA: COMMEMORAZIONE ANNIVERSARIO DELL'ECCIDIO DELLA BANDA LENTI



Il corteo ripercorre le strade che videro l'eccidio


Ogni anno la città di Valenza commemora l'eccidio della Banda Lenti.
Ho già scritto di questi ragazzi in un post di un anno fa.
Il termine " banda" fa pensare a qualcosa di " banditesco", invece vuole sottolineare il legame che c'era tra i ragazzi .
Erano ragazzi giovanissimi e senza alcun amore per le battaglie.
Si trovavano nella piazza del paese , studenti, figli di fornai e ciabattini. Passavano le serate a scherzare ed anche a prendersi in giro su cose di politica. Avevano venti anni. Pensiamo ai ragazzi di venti anni come sono ora. Non credo che fossero molto differenti. Ma hanno avuto una intuizione da adulti. Hanno avuto il pregio di comprendere, dopo l'armistizio, che era tempo di cambiare.
Di cercare un altra via per il nostro paese, l'Italia. Chiamati alle armi, non si presentarono e cominciarono ad organizzarsi per boicottare l'azione delle forze tedesche che occupavano i nostri paesi in settentrione. Il resto è storia tragica.
Non vi parlerò di questo. Invece racconterò un episodio che è emblematico per ciò che diventò allora la resistenza. E' un brano di testimonianza illuminante se si vuole comprendere quali furono le molle che spinsero molti ragazzi sulla strada della lotta contro i nazi/ fascisti.


" Mio fratello è del 24, allora era di leva, ed è andato a presentarsi per fare il militare ( subito l'otto settembre le autorità della Repubblica di salò cominciò a richiamare alle armi i ragazzi) E' andato a Casale (AL) .
Lui, finchè si trattava di fare il militare normale, ubbidiva. Ma un giorno decisero di fare un rastrellamento e poratare via tutti i viveri dalle case. Mio fratello era un tiratore scelto, uno dei pochi in grado di usare bene la mitragliatrice e fu chiamato a farlo. Andarono in una cascina in campagna. c'era una vecchina di ottanta anni. Si era piazzata davanti alla porta dicendo: " E' tutto quello che abbiamo, due vitelli, è il nostro patrimonio. Il comandante ha preso la vecchietta e l'ha buttata in terra. e Mio fratello mi raccontò: " Mi son sentito ribollire il sangue, vedere questa vecchietta in terra, con le mani aperte , mi sembrava in croce. Ho fatto scattare la mitragliatrice ed ho detto: " Se andiamo via bene, se no faccio fuoco, ma faccio fuoco su di voi, perchè non si tratta così la nostra gente"
Mio fratello fu arrestato. La sera venne il comandante delle brigate nere a trovarlo in prigione e gli disse: " Ti ho portato un regalo" E gli diede una pistola. era una P38 . Gli ha detto" Vai"
Mio fratello disse" Sono consegnato per tre giorni"
Il comandante gli disse: " Ti faccio il permesso io per uscire." Mio fratello uscì e non è più rientrato. "

Ecco la storia.
Quando cammino nelle vie del mio paese, come oggi pomeriggio......
(abbiamo percorso in corteo le vie che videro il martirio di quei ragazzi) viene da chiedermi che giornata fosse stata quel 12 settembre 1944.
Era una giornata di sole come oggi, con le nostre strade silenziose e pigre? Era una giornata calda ed accogliente con la gente che s'affacciava ai terrazzi e si sedeva sulle panchine dei nostri giardini? E mentre Agostino Lenti girò il suo ultimo sguardo dalla macchina, in Viale Vicenza, intravide la valle col fiume che attraversa le rive di ciottoli bianchi e di arbusti profumati?


Il racconto è estrapolato dal libro di Daniele Borioli " La Banda Lenti"

giovedì 9 settembre 2010

A BASSO COSTO


Insomma, capita così. Uno comincia ad avere un senso oscuro di inquietudine e può SCEGLIERE: ignorare il respiro affannoso della sua anima od ascoltarla pazientemente come un genitore amorevole. In questo modo, come primo momento, si prende coscienza che non c'è una sola direzione, che possiamo spostarci, dilatarci, perchè il punto di riferimento non c'è più : posso essere una, ma anche altra. E' come essere in una casa di legno in cui tutto comincia a tremare: i bicchieri tintillano tra loro, i lampadari oscillano paurosamente, le mura scricchiolano perchè il centro della terra sta gorgogliondo di fuoco e acqua pronto ad esplodere in alto.

Sono in strada con la mia auto. C'è molto traffico. Azzardo un sorpasso. Non ci riesco. e rientro in carreggiata. Ci ri - provo ed ancora ed ancora. Ma le macchine sfrecciano nel senso opposto senza tregua. Voglio sorpassare ad ogni costo: sembra divenuta la mia unica priorità.
Ci provo ancora e per poco non rischio un frontale.
V'è mai successo di immaginare ciò che avrebbe potuto succedere? Sarebbe bastato un secondo in più, una minore attenzione, una piccola distrazione .. e bon... ecco lo scontro.
Così ho immaginato: mi sono vista raggiungere da una massa di lamiera potente ed assassina: uno schianto muto, un dolore violento e poi ecco sopraggiungere la fine. L'ho sentita premere nella carne come qualcosa di presente e probabile. Anzi: inevitabile.
Sono morta.
Il respiro spento. Il senso dell'essere congelato nell'attimo eterno della pienezza della fine. perchè la fine non ha passato. E' piena di se' e basta. L'ho percepita d'incanto come per un sussulto della coscienza inerte.
Allora ho urlato. Ho urlato più volte di dolore e spavento.
E' stato un attimo. Solo un attimo. Poi la morte immaginata è divenuta letteratura. E' divenuta un fastidioso ozio della memoria. Eppure è passata tra i miei respiri come un vento inarrestabile. Eppure ho urlato per scacciarla. In un auto metallizzata. In una tranquilla serata sulla provinciale di Alessandria.