Non ho parlato affatto di ciò che è successo. Neppure lo farò ora. È troppo facile invitare alla riflessione come qualcheduno ha fatto con piglio saccente ( come se invitare alla riflessione fosse un segno di personalità riflessiva) Riflettere su che? E la parola solidarietà è stata pronunciata e scritta talmente tante volte da renderla quasi priva di contenuto. L'immagine del mondo attuale non si concilia con il concetto di relazione, di comunione, di collettività. Non viviamo che in modo individuale, chiusi in case mononucleari, in attività solitarie, in pensieri e sentimenti egocentrici. Il danno del prossimo rimane in ogni caso staccato da noi, pur se vicino anzi, quasi ci tocca. Ma il senso reale della condivisione, della interazione non abita le nostre case e le nostre abitudini. Il dolore, poi, non è condivisibile e non possiamo parlarne come se ci appartenesse. È doveroso contribuire alla ricostruzione, alle soluzioni del danno, ai provvedimenti da intraprendere. È d'obbligo che lo Stato sia presente finanziariamente e che si adoperi e che non ci distragga con chiacchiere inutili. Gli avvenimenti sono sempre vissuti soggettivamente e permettersi delle ipotesi sentimentali non è rispettoso per chi vive veramente e dimora nel disastro e nell'accadimento. Per questo non ho scritto e non scriverò mai su quello che è successo.Il dolore merita rispetto. Il danno deve essere riparato.

