giovedì 26 marzo 2009

L'IDEA CHE HO DI TE

Si sbaglia, ma è necessario tornare indietro.
Non per chiedere scusa ma per comprendere se stessi e l’altro che si è ingannato.
La scrittura della propria vita porta – ineluttabilmente – a leggere una pagina che non avrebbe dovuto esserci, ma è lì, dietro ogni apparenza, a mostrare la sua inappagabile sete di verità.
Le persone hanno un intelletto, ma il cuore supera ogni torpore o arroganza della ragione.
Ci si appella alle motivazioni, ma si deve salvaguardare il proprio sentire.
E, anche quando l’errore è stato palese e insormontabile, bisogna aprire la porta di quell’unico senso che è amare incondizionatamente.
E quando incontri una persona che ti ascolta e ti rende partecipe del tuo stare lì a prendere forza dalle tue stesse azioni devi solo ringraziare il cielo che t’ha reso così fortunato.
L’amore supera il dolore, ma il dolore ha la forza del coraggio, del senso della continuità, del superare e del delimitare.
Tu, ci sei.
E questo, per me, è come ritornare all’esistenza.

martedì 24 marzo 2009

IL LINGUAGGIO

Martin Buber nel libro" i dieci Gradini della saggezza " ci insegna: " Devi pronunciare le parole come se al loro interno si spalancassero i cieli , non come se le ponessi in bocca ma come se penetrassi in esse."
La parola feconda il cervello: rigenera o distrugge . Non voglio sottovalutare ciò che dico. Per me è preziosissimo. Il linguaggio va inteso come un prolungamento della nostra anima dove essa si svela a noi ed a chi è sensibile ed attento e cosciente del valore della parola. Per questo ho avuto una reazione di disperazione e di rabbia e di rigetto quando t'ho visto scrivere parole con una valenza profonda ed intima dove la circostanza non le riconosceva. Il linguaggio titilla i nostri sensi li fa crescere e li trasforma. In ogni istante la parola è un sipario che si spalanca ai nostri occhi e ci accende una luce misteriosa . Le tue parole sono state per me linfa vivificante con una funzione motrice di energie sotteranee e potenti tali che non potevo immaginare imposte a ruolo puerile di lusingatrici insidiose e meretrici.
La parola uccide e ci fa nascere ogni giorno. La parola è incontro e separazione. Non voglio consumare se non con ardore e impegno il suono ed il significato della mia anima che si muove.
Io non posso che essere " nel" mio linguaggio fatto di gesti, di occhi , di bocca che emette un suono che ci trasforma e ci plasma e ci rinnova e ci possiede come in un lungo amplesso di amore e di morte. Per questo dunque il silenzio diviene nobile e ascoltato: poichè è l'attesa di un attimo intriso di labbra e anima che trova nel linguaggio l' espressione più profonda e più pura che il tuo cuore può creare.

mercoledì 18 marzo 2009

STORIA DI DESIDERIO


Foto realizzata e gentilmente concessa da Cinzia Garbi - Valenza
(immagine soggetta a copyright )

Lei l’aveva trovato diverso dagli altri perché non si offriva e non chiedeva. Dapprima non l’aveva guardato se non con un’occhiata distratta.

Cosa era successo poi di particolare che aveva fatto in modo di distinguerlo da tutti gli altri e di riconoscerlo come una parte di se’ come carne e sangue da prendere e di cui nutrirsi avidamente con voglia e desiderio fremente? Lei non avrebbe saputo rispondere.

Perché non sai mai cosa accende i tuoi sensi; quale richiamo, quale parola, quale modo d’essere quale odore, quale movimento. Ma lui era diventato l’unico che poteva ridestava la voglia profonda e carnale.

Era diventato un bisogno necessario quello di afferrarlo con tutte e due le mani e sentirselo addosso. Lei l’aveva incontrato in presenza di tante persone.

Erano poi rimasti soli. .

Quando le sue labbra si insinuarono tra le labbra di lui sentì subito una voglia indomabile di trattenerlo contro di se'e di averlo.
Non pensò , quando lo baciò, di avere già baciato poiché la sua bocca divenne nuova al contatto con la sua lingua molle ed ardente.

Lei lo guardò con gioia mentre lui si spogliava e offriva il suo sesso nudo e potente alla sua vista.

Allora si inondò del desiderio di avere tutto di lui e di nutrirsi di ogni più segreta parte del suo corpo esposto ed innocente. Lo avviluppò con tutta se' stessa senza lasciare una sola parte della pelle all’aria della notte . Le mani ed il sesso di lui si intinsero del suo desiderio e infine sprofondò nella sua carne impaziente.

martedì 17 marzo 2009

L'EBBREZZA

Era così : gli spazi troppo stretti, il tempo troppo poco. Troppa la propria volubilità.

Lei tutte le volte si meravigliava della sua frivolezza. E spesso rimproverava agli altri le proprie debolezze.
Lei, infatti, diceva: " dammi una risposta : non ho indirizzi."
Ma era lei che cambiava spesso la strada. Era lei che non si ritrovava nelle cose sentite.
Un volta a chi le aveva chiesto: “ perché?”
Lei, che sempre voleva trovare una risposta, che non si sarebbe azzardata a dire” non lo so perché. Solo perché lo volevo, perché mi faccio guidare dalle voglie e le mie voglie non si raccontano, ma agiscono autonomamente senza risposte. "aveva invece detto:
perché quello che ho fatto mi allontanava dalla morte”Ma non sapeva bene cosa aveva voluto intendere.


Come avrebbe potuto spiegare che non esisteva un' etica in quello che faceva se non quella che permette l’appagamento arbitrario dei propri struggimenti?

Ma forse che la morte significava "non essere nelle cose che si fanno, non desiderarle e non immergersi con la pelle e l’anima profondamente senza attendere null’altro che essere in quel luogo e in quel tempo ?"La morte era imporsi la direzione scelta e non sterzare e non frenare e non deviare all’improvviso se non per un masso inconsueto della strada , se non per una tempesta di sassi e sabbia? Se non per un motivo.. anche uno qualsiasi ?
Lei pensava questo. O meglio: lei sentiva il proprio corpo e non respingeva il languore inspiegabile e non metteva a tacere il calore del ventre e dell’anima. Ascoltava attentamente la sua pelle e si lasciava afferrare dall’eccitazione inaspettata. Si lasciava scaldare e stringere nell’ abbraccio silenzioso degli umori. Ma non altro. Non un gesto . Non una parola. Non un fremito.
Camminava senza fretta portando lievemente dentro se' la sua ebbrezza.