domenica 15 febbraio 2009

STORIA DI UN INCONTRO, DI UNA SEPARAZIONE E D'AMORE


Lei era entrata nella stanza fredda. Lei aveva guardato il letto. Era rimasto qualcosa tra le pieghe sbiadite e sgualcite delle lenzuola? era rimasto un segno che non potesse dissolversi nelle ore e nei minuti velocissimi?
No. Non c'era nessuna impronta che potesse sostenere quel tempo.
Ma già lo sapeva e non si meravigliava del silenzio e delle cose che intorno a lei rimanevano ordinate ed indifferenti alle domande ed ai bisogni.

Niente avrebbe fatto presupporre che c 'era stato calore e movimento denso nella stanza e nel ricordo.
Lei non voleva ricordare.
Non si consolava del richiamo di immagini riproposte con altri colori ed altre condizioni. Lei lo sapeva che nell'incontro c'è già scritto il suo epilogo. Che non ci sarebbe stato abbandono se non ci fosse stato un vincolo. Accoglieva la lacerazione come un requisito inevitabile e si ascoltava cantare la sua canzone melodiosa di amore e di morte . Questo era il tempo. Non le era stato concesso che di consumare in quell'attimo e il suo palpito ed il suo disegno. Già la sua genesi l'aveva previsto. Tutto s'era svolto e concluso. Non sta a noi umani riproporre il suono ed il tempo già compiuto. In ogni cosa vitale c'è all'interno della sua essenza profonda la sua risoluzione fatale. Ma questa certezza non leniva lo strazio del cuore e degli occhi.
Lei guardava .. guardava e guardava.
Non avrebbe trovato nulla di quello che c'era stato.
Ma mentre guardava e guardava ed ancora guardava il letto, il tavolo, ed i resti sciolti delle candele viola, s'accorse che non era la questione di ritrovare un ricordo od un 'immagine precisa dei gesti e della passione. Invece sapeva che ciò che era avvenuto s'era trasformato in sostanza e nutrimento per i giorni a venire.
E questo per lei fu un pensiero dolcissimo.

domenica 8 febbraio 2009

QUI


Qui . Proprio qui, ricordo perfettamente. Appena ho visto la fontana mi sono ricordata.
Ma è poco corretto parlare di ricordo perchè era più di un ricordo, si trattava di una sensazione d'essere a 10 anni sui gradini di mattoni rossi.

Qui.
Proprio qui. Seduta, vestita di bianco. Mangiavo un cono gelato. M'ero accomodata appoggiando il gomito nel sostegno più alto.
Mio padre mi aveva scattato delle foto. La certezza d' essere stata in quel punto , la verità inconfutabile di essere persona diversa ma uguale a quei gomiti posati , a quelle gambe appoggiate tra i cotti rossi ed il giardino, mi dava una sofferenza indicibile. Ho sentito, che le mie riflessioni, benchè oziose e spassionate, nascondevano una impressione viva: io stavo visitando una tomba . Cercavo tra i ciotoli rossi e levigati perfettamente, io cercavo una traccia di ciò che ero stata o peggio ancora un segno di quello che avrei potuto essere che non sono stata , avendo le braccia e l'essenza della bimba che ero, oramai confusa tra ciò che ho l'impressione di rappresentare e il volto beato di ieri.

Mi sono seduta ed ho riso . Ho detto ( e il tono avrebbe potuto apparire a Enz0, un tono borghese) : " scattatemi una foto come allora " Ma non ho creduto neppure per un attimo di riproporre e il sentimento e lo scheletro di quello che potevo mai essere stata.

Tutto era finito.

Il luogo così sano e rigoglioso di mattoni ed acqua e sole non era il mio luogo. Non lo sarebbe più stato, ma sarebbbe stato e lo era , qualcosa di più terribile cioè sarebbe stato la traccia del mio epilogo inevitabile. Quel che mi era stato svelato, guardando la fontana e guardando quello che avevo visto un tempo , era un qualcosa di palese ed insieme disperante: il fatto d'essere allora come ora una cosa passata. E di continuare ad esserlo ad ogni passo ed ad ogni respiro. Incontenibile pensiero. ed incondivisibile.

Intanto il sole vibrava intorno e io mi allontanavo senza voltarmi

sabato 7 febbraio 2009

giovedì 5 febbraio 2009

GLI ANNI EROICI

Lei era salita sull'auto. Aveva messo la cintura Aveva acceso il lettore con la sua musica.
Era il primo pomeriggio di un giorno di febbraio. Aveva imboccato il viale che attraversava la pineta, una macchia di verde scuro tra il sentiero d'asfalto. L'aria era leggera ed il sole si infilava tenue tra le fronde dei pini e la boscaglia.
Era presto e lei guidava senza fretta sfaccendatamente.
Spesso lei ritornava in questi luoghi .
Ritrovarsi tra quei colori familiari e la lunga pianura maremmana la rasserenava tutte le volte. Erano sue le strade e le lunghe pianure gialle e verdi distese intorno alla strada fin che poteva guardare.
Il senso di quei luoghi scorreva col sangue come forza purificatrice.
Lei chi era?

Aveva messo da parte l'idea di se' stessa e dei ruoli e delle abitudini consuete e delle immagini di superficie di cui era costituita. Da un po' di tempo lei si faceva spazio tra le pieghe di questa Antonella ( se pur presente e dominante ) e come spettatore di fiera si addentrava tra i cunicoli profondi del suo spirito per arrivare al nucleo cavernoso ed essenziale di sè. Per arrivare a quella parte che, liberata da strati di strutture e di vincoli, fosse autentica e rivelatrice del proprio esistere puro.

Per questo non voleva parlare di ciò che la indaffarava in tutti quei suoi giorni scanditi dalle regole ordinarie . Non sarebbe stata lei, non sarebbe stata lì , in quel luogo, con quel desiderio, con quell'attesa. Probabilmente, (e questo la faceva sorridere malignamente, ) probabilmente sarebbe stata a disquisire su un intervento da adottare per un servizio pubblico o avrebbe discusso dicendo: " io ... io " avrebbe preso caffè veloci nei bar del paese. Avrebbe camminato nelle vie del centro e nella Piazza polverosa. Forse avrebbe ascoltato l'ex marito, senza rispondere e senza comprendere. Avrebbe taciuto il dubbio, avrebbe atteso il silenzio. Avrebbe detto: " Sì Sì ... Facciamo... facciamo..." avrebbe salutato trattenendo l'ansia e la solitudine. Avrebbe aspettato. Frenato. Avrebbe supplicato. Sperato. In silenzio. Avrebbe detto: " NO... no... "
Ma era andata via.

Anche in quel momento c'era silenzio. Il vento leggero attraversava il suo corpo passando dal finestrino dell'autovettura.

Il suo viaggio aveva scavato nel fondo del pozzo e portava alla luce nuovi bisogni. Nuovi movimenti. Aveva rivelato un nuovo gioco. Un gioco gioioso che non chiedeva altro che essere giocato. senza altra ragione che il gioco stesso.

C' era una coscienza ardente che chiedeva solo d'essere bruciata e consumata nell'attimo e nel desiderio. E per questo, per quanti dubbi avesse ancora e per quanto incomprensibile poteva apparire al mondo, lei aveva preso l'auto e stava attraversando la campagna toscana fino a Grosseto. .